Duomo e P38 sullo sfondo con lo slogan: “la ’ndrangheta chiama, Milano risponde“. Forse c’era un modo più efficace per denunciare la criminalità, che non tappezzare la città di manifesti con nomi e cognomi di boss o presunti tali. Ma il massmediologo Klaus Davi, che invece con la sua agenzia di pubblicità scelse quel sistema cinque anni fa, ora s’è visto condannare in primo grado dal tribunale per diffamazione. E così dovrà pagare non solo una multa di 35 mila euro allo Stato, ma anche un risarcimento danni di 8 mila più le spese legali a persone con pesanti curricula criminali sulle spalle, che però contro Davi hanno ottenuto ragione dal giudice.
È finito così il processo davanti alla settima sezione del tribunale, giudice Marco Tremolada, in cui Davi (al secolo Sergio Mariotti) doveva rispondere dell’accusa di aver offeso uno dei protagonisti della vecchia inchiesta “Duomo Connection” Antonino Zacco e il figlio Carlo. Nei manifesti, un’ottantina di esemplari sei metri per tre che nel 2017 apparvero sui muri della metropoli, comparivano le iniziali dei nomi e il cognome di 10 fra boss e altri noti pregiudicati, sullo sfondo del Duomo sormontato da una P38 e il claim “la ‘ndrangheta chiama Milano risponde”. Tra loro Antonino Zacco (condannato per traffico internazionale di droga) e il figlio Carlo. Entrambi con grossi conti pagati o da pagare con la giustizia, "ma nessuno dei due - ha fatto presente l’avvocato Anna Molinari che li ha difesi - mai condannati per associazione mafiosa".
Così (e in attesa delle e motivazioni) nonostante la richiesta di archiviazione della Procura, prima Il gip Giulio Fanales ha mandato Davi a giudizio e ora il tribunale l’ha condannato.