
Marta Zòboli
Milano, 20 dicembre 2015 - «Milano è il mio centro di gravità semipermanente». Lo racconta l’attrice Marta Zòboli.
Beh, almeno ha trovato un centro di gravità.
«Sì, dal 2009 anno in cui mi sono stabilita qui. Prima ho vissuto a Parigi e Londra. Forse per questo non parlo mai di ciò che mi riguarda come fosse definitivo. Ci possono essere sempre variazioni».
Allora cominciamo col racconto dei suoi cambiamenti.
«Quello più importante a Parigi. Ci ero stata durante gli anni dell’Università, ho studiato Lingue a Bergamo, sono originaria, invece, di Treviglio. Ma sono tornata nella capitale francese, dove ho vissuto dal 2005 al 2009, per studiare recitazione. Sono stati anni impegnativi, riuscivo a vivere con pochissimo arrangiandomi con lavoretti ma poi ho avuto la soddisfazione di aver creato una compagnia con alcuni colleghi e di esserci esibiti al Festival di Edimburgo».
Il suo primo personaggio comico?
«Facevo una ballerina un po’ imbranata. Ironia della sorte ho studiato danza classica per circa dieci anni e mi è sempre piaciuta molto».
Lei è nota proprio per essere capace di interpretare tanti caratteri passando dall’uno all’altro con disinvoltura e in poco tempo.
«Sì, forse grazie alla visione “milanese” del mio lavoro. Mi spiego: i milanesi sono poco caratteristici proprio perché sono abituati ad assorbire cultura e atteggiamenti di persone provenienti da diverse parti d’Italia e del resto del mondo. Allora io realizzo un ventaglio di personaggi che puoi trovare più a Milano che altrove».
Quando si è stabilita a Milano?
«Nel 2009. Conoscevo già la città per le mie frequentazioni di adolescente. Mi ricordo in particolare il boom dell’aperitivo, poi chiamato happy hour. Per noi ragazzine, Milano era troppo avanti perché già alle sei del pomeriggio e quindi prima dell’ora di cena proponeva piattini di pasta con i cocktails. Ma una differenza sostanziale, che mi rende cara Milano, l’ho colta proprio quando sono tornata qui dopo anni: il calore dei milanesi, niente a che fare con l’atteggiamento distaccato dei parigini».
La via milanese che preferisce?
«Piazza Lucrezio Caro, a sud-est della città, non lontana da corso San Gottardo. Qui ho trovato il mio punto fermo dopo una girandola di traslochi, tante case e qualche stanza ammobiliata in cui ho vissuto per alcuni anni. E’ una zona a metà strada tra le tracce di un passato industriale che aveva preso il posto di tante botteghe artigiane e la campagna. Con alcuni aspetti buffi e forse un po’ grotteschi, come il piccolo parco della piazza. Mi aveva sempre incuriosito per la disposizione di alcuni alberi, in fila, armonici, quasi in cerchio: poi ho scoperto che in origine era un cimitero».
Ma lei ci va lo stesso?
«Certo, ci porto sempre il mio cane Ugo, che ho preso al canile. Questa zona conserva la vita di quartiere, con il mercato del sabato in via Tabacchi, le trattorie, i palazzi d’epoca lasciati un po’ consunti, non “leccati” e rimessi troppo a nuovo. E poi, in via Giovenale, c’è la “Stecca” cioè una specie di villaggio, un incubatore di artigiani, una grande aerea delimitata da un cancello e piena di tanti esperti in lavori “fatti a mano” che convivono con artisti. Basta varcare la soglia ed entrare in un altro mondo, che resta tenacemente legato alla Milano di allora».
Intanto fa l’attrice a tempo pieno tra tv e teatro. Il comune denominatore è Zelig?
«Sì, dal 2011 lavoro con Gianluca De Angelis, nel duo “Marta e Gianluca” con cui sto preparando il nuovo spettacolo “Strapazzami di coccole” che comincerà a vedersi sui palcoscenici italiani da gennaio. Zelig mi ha dato molto, mi ha fatto capire quanto sia importante l’improvvisazione e la duttilità. E ho imparato a giocare con me stessa, a osservare la quotidianità e a trovare tanti aspetti da rappresentare. Anche se sono convinta di essere nata nell’epoca sbagliata. Mi sento un po’ cortigiana e il mio periodo ideale è tra il ‘700 e l’800. Infatti mi piacerebbe molto recitare in costume. Ma soprattutto scrivere una serie televisiva sulla falsariga di “Games of Thrones”. Chissà potrebbe essere un “Thrones of Milan”: questa città è una fonte inesauribile di storie».
di MASSIMILIANO CHIAVARONE