Mario Delpini, i centro giorni dell'arcivescovo della gentilezza

Dalla 'Prima' in carcere al vocabolario della vita quotidiana

Mario Delpini

Mario Delpini

Milano, 12 gennaio 2018 - «Reverendo, che maniere»: giusto vent’anni fa, correva l’anno 1998, monsignor Mario Delpini col suo “Piccolo galateo pastorale” e col suo stile, tanto leggero e ironico quanto profondo, invitava i sacerdoti a «liberarsi dalle zavorre». Quelle «zavorre» non le ha caricate sulle spalle neppure quando ha fatto il suo ingresso da arcivescovo nella diocesi in cui è nato: «Sono stato tutta la mia vita qui, non potrò essere una sorpresa», diceva pochi giorni dopo l’incarico affidatogli da Papa Francesco. Che non ha scelto l’erede di Angelo Scola fra la rosa di «cardinali», ma fra chi nella diocesi più grande del mondo è cresciuto, certo, sempre al fianco dei cardinali. «Per Milano ci vorrebbe un arcivescovo santo, io invece sono un brav’uomo, non so se sarò all’altezza», diceva lui, chiedendo aiuto. I primi 100 giorni di «don Mario arcivescovo» sono un po’ il suo manifesto: in 100 giorni ha visitato tutti i decanati e più di un centinaio delle 1.104 parrocchie della diocesi più grande d’Europa.

Il primo passo, il 24 settembre, lo ha mosso dal carcere di Opera. Stesso giorno della cerimonia in Sant’Eustorgio ma soprattutto del primo «patto» firmato con la città, il «patto dell’accoglienza». Nel discorso di apertura tende la mano anche agli islamici e agli atei. Nel mentre viene pubblicato un altro suo libro «Vocabolario della vita quotidiana». Ritratti di vita, a partire da «La Maria “Tencia”» che è « sempre informata su tutto, è la prima a far sapere: “Mah! tra quegli sposini le cose non vanno tanto bene...» e da Peppino, il sacrista brontolone, per ricordare alla sua gente di parlare, «non per spettegolare, ma per consolare e incoraggiare». Immagini che fanno sorridere e riflettere e che si rincorrono nelle omelie e nelle riflessioni dell’arcivescovo, con la preghiera ritratta come una «sciura» che è stata mandata a fare la spesa. Il 30 settembre altra immagine con l’ordinazione di 30 diaconi: «In questa nostra città della moda si deve forse ricordare che l’abito più bello non è quello più costoso o più strano o più seducente, ma è quello che meglio custodisce la dignità della persona». Prima lettera pastorale il 6 ottobre, ancora una volta in punta di piedi: «Mi presento con discrezione e rispetto, ma invito a considerare le indicazioni che offro come un punto di riferimento che può anche richiedere qualche semplificazione dei calendari e qualche concentrazione più evidente sulle priorità».

Ottobre si apre con Delpini che incarica la Curia arcivescovile di pubblicare l’Editto per l’apertura del processo di beatificazione di Fratel Ettore, l’angelo dei clochard. Fra i primi atti del nuovo arcivescovo, l’incontro con i 700 operatori e volontari dellla Caritas. È il 4 novembre: «La speranza cristiana non è una pacca sulla spalla. Ma è la risposta alla promessa di Dio – dice loro –. Vorrei allora incoraggiarvi a essere uomini e donne che non si lasciano rubare la speranza». Per l’avvento prepara un libro di favole, da leggere in famiglia, invita a Messa anche i suoi coscritti, la classe 1951: oltre 700 hanno risposto all’invito, la rimpatriata di leva si fa in Duomo. L’arcivescovo «pop», molto «sociale» è poco «social», se ne tiene lontano nonostante le messe in diretta su Twitter. Chiude novembre con una svolta: indice un Sinodo minore che si aprirà questa domenica.

L’ultimo Sinodo a Milano era stato indetto dall’arcivescovo Carlo Maria Martini nel 1993. Il Sinodo è «minore» perché focalizzato su un unico tema: «Chiesa dalle genti». L’obiettivo è «aggiornare l’azione pastorale alla luce dei cambiamenti sociali prodotti all’interno delle parrocchie multietniche», coinvolgendo di più i «nuovi ambrosiani», che condividono la stessa fede ma che arrivando da Paesi lontani, con lingua e tradizioni differenti, si trovano spesso fra loro. Nel saluto alla città, il 6 dicembre, si rivolge invece ai milanesi e alle istituzioni per stilare le regole dell’«arte del buon vicinato» e qui gli esempi si fanno concreti.

L’arte del buon vicinato ha un prezzo: le tasse vanno pagate ,«tutti devono rendersi conto che anche il contributo economico è determinate», senza viverle come «un rassegnarsi a un’estorsione», anche se non nasconde che «il sistema fiscale del nostro Paese necessita di una revisione profonda». Delpini va oltre e propone l’antica «regola delle decime» rivisitata in chiave moderna: «Ogni dieci parole che dici, ogni dieci discorsi che fai, dedica al vicino di casa una parola amica», «ogni dieci torte preparate per casa tua, dedica una torta a chi non ha nessuno che si ricordi del suo compleanno». Passa anche a esempi più consistenti Delpini, «Ogni dieci case che affitti...».

Il suo Natale è in Duomo ma anche nella rotonda di San Vittore, fra i detenuti, il pranzo con la comunità di Sant’Egidio, fra famiglie in difficoltà e migranti. Ultimo dell’anno al Pio Albergo Trivulzio. Si avvicina il centesimo giorno, don Mario ricorda la «Milano operosa» ma anche la «politica lontana dalle priorità» e il problema del calo della natalità, esalta l’impegno della sua città, la invita a un bagno di umiltà.

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