FABIO FLORINDI
Cronaca

LA MIA MILANO / Mario Boselli: "Quella giostra in viale Vittorio Veneto..."

Il presidente onorario della Camera della Moda racconta la sua città

Mario Boselli, 76 anni (NewPress)

Milano, 20 agosto 2017 - Non chiamatelo dottore, perché rivendica con orgoglio il suo diploma da ragioniere. Mario Boselli, classe 1941 e presidente onorario della Camera nazionale della moda italiana, è tuttora un infaticabile imprenditore che gira il mondo, ma ha il cuore fisso nella sua Milano.

Qual è il suo primo ricordo della città?

«Una giostra vicino casa. Avevo sei anni, era il 1947, e al posto di quella giostra costruirono una casa. Era in viale Vittorio Veneto, io abitavo proprio accanto. Allora mi dispiacque molto, ma con il senno di poi è andata bene così, visto che poi in quella casa ci sono andato ad abitare».

Che scuole ha frequentato?

«Ho fatto l’Istituto tecnico commerciale Schiaparelli, che si trovava dove oggi c’è il Teatro Strehler, vicino al parco Sempione. Sono un ragioniere e sono orgoglioso di esserlo. Non sono mai andato all’università, allora si diventava maggiorenni a 21 anni e ho iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia a 18 anni. L’ho portata avanti fino al 2005. Produciamo jersey. L’azienda è nata a Garbagnate Monastero nel 1586 e siamo alla tredicesima generazione».

Ci sono ristoranti o locali in cui va spesso?

«Oggi a Milano c’è solo l’imbarazzo della scelta, ma mi piace tornare un po’ indietro a tre sorelle che venivano dalla Toscana e nel primo dopoguerra ebbero il coraggio di puntare sulla ristorazione. Aprirono il Bice in via Borgospesso, il Girarrosto in corso Venezia e Da Ilia in via Lecco».

Luoghi che ha nel cuore?

«Sarò banale, ma dico la Madonnina. Oggi la sede della Camera della moda è in piazza Duomo e mi metto sempre a lavorare in una stanza da dove si vede la Madonnina».

Lei ha vissuto diverse fasi di Milano. Qual è stata la migliore?

«Sono state fasi diverse, quindi le valutazioni sono differenti. La fase della ricostruzione, fino agli anni ‘60, forse è stata quella più virtuosa e che ho amato di più. Poi c’è stata la Milano da bere, che non ho amato molto. Ma la città su cui costruire il futuro è quella degli ultimi due decenni perché la Milano da bere è da dimenticare e non si può pensare a quella della ricostruzione perché non c’è lo sviluppo del primo dopo guerra. Comunque l’attuale Milano non mi dispiace».

C’è chi dice che negli ultimi anni c’era stato un intorpidimento, che solo l’Expo ha interrotto...

«Non sono d’accordo. Nella moda il momento migliore è iniziato già prima dell’Expo. Anche se sono d’accordo che l’Esposizione sia stata estremamente positiva. Quando doveva essere presa la decisione sull’assegnazione ero con Letizia Moratti al Louvre: si doveva sorpassare Smirne, operazione poi riuscita. Un evento che ha contribuito allo sviluppo di Milano, non ringrazieremo mai abbastanza la Moratti per questo».

Com’è cambiata la moda milanese nel tempo?

«Oggi Milano conserva il titolo di capitale del mondo del prêt-à-porter di alta gamma, che porta a numeri da capogiro. I grandi numeri non si fanno con l’alta moda. Sono convinto che bisognerebbe amare di più Milano, qualcuno la usa e basta, invece va rispettata e onorata».