La madre di un bambino disabile: "Mio figlio costretto a casa se non ci sono io"

L'allarme: l'ente che lo assiste non presta più attività educative all’aperto senza il presidio della mamma

Federica Muller, madre di Tommaso e Cecilia e fondatrice della onlus

Federica Muller, madre di Tommaso e Cecilia e fondatrice della onlus

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Questa mancava. Nella lista dei disservizi relativi al voucher sociosanitario destinato alle persone con disabilità gravissima e ai loro famigliari mancava il caso del capovolgimento coatto dei ruoli e del ribaltamento della logica del servizio. Invece è accaduto anche questo, è accaduto che ad una madre sia stato imposto di dare sollievo agli stessi professionisti dai quali dovrebbe riceverlo. A rimetterci, oltre alla madre in questione, è suo figlio: un bambino di 11 anni costretto a rinunciare ad attività all’aperto da sempre considerate preziose per il suo percorso nonché al campus estivo. E questo è solo il problema più urgente tra quelli che questa vicenda fa emergere.

Per chi non lo sapesse, il voucher al quale si fa riferimento è quello previsto dalla misura B1, un voucher finanziato dallo Stato e dalla Regione al quale hanno diritto, come detto, la persone con disabilità gravissima e il caregiver famigliare, vale a dire la mamma, il papà o il parente stretto che se ne prende cura. Questo voucher consente di ricevere prestazioni che hanno tre finalità: consentire alla persona con fragilità di essere assistita a domicilio, supportarne lo sviluppo ma anche – ed ecco il punto – dare sollievo allo stesso caregiver, consentirgli di avere tempo libero dall’onere delle cure, del tempo in cui essere affiancato ma anche sostituito. Gli enti che vogliono fornire alle famiglie le prestazioni previste dalla B1 devono accreditarsi con la Regione, che ha stabilito alcuni requisiti per l’accreditamento, a partire dalla disponibilità dei professionisti del caso: dagli infermieri agli educatori. Questa la cornice e la logica della misura.

Poi c’è la realtà, quella che stanno vivendo sulla propria pelle Federica Muller e suo figlio Tommaso, undicenne con disabilità gravissima. Il 9 giugno Casa Don Guanella, l’ente che da 5 anni segue il bambino, ha comunicato a Federica che da quel giorno in avanti le educatrici si sarebbero limitate a svolgere con Tommaso attività educative entro le mura o il giardino di casa e che ogni attività all’esterno sarebbe stata prevista e consentita soltanto se avrebbe potuto esserci anche Federica. Una condizione, questa, messa nera su bianco anche nel progetto educativo riservato al piccolo Tommy così come rivisto e corretto dall’ente il 14 giugno: "Si ritiene – vi si legge – che a causa delle necessità sanitarie del bambino e per la sua sicurezza, l’intervento avvenga al domicilio (casa e/o giardino) o sul territorio in presenza della mamma". Tradotto: sono le educatrici che devono ricevere sollievo dalla presenza di Federica e non Federica dalla presenza delle educatrici. Ruoli capovolti e logica ribaltata, come detto.

Perché questa svolta? Nel passo del progetto educativo appena citato si fa riferimento alle "necessità sanitarie del bambino" e alla "sua sicurezza". Il riferimento è a quanto avvenuto il 31 maggio: "Tommaso, mentre era fuori con l’educatrice, ha accusato un abbassamento di pressione provocato dal caldo – racconta sua madre –. Come da prassi in questi casi, l’educatrice mi ha chiamato, è tornata a casa con Tommaso e tutto si è risolto in breve tempo. Gli accertamenti dei giorni successivi – prosegue Federica – hanno confermato che si è trattato di un abbassamento di pressione, come capita a chiunque".

Ma nel caso di Tommaso un evento ordinario sembra essere diventato la causa di una svolta di non poco conto: per effetto della decisione della direzione sanitaria di Casa Don Guanella, il bambino ha perso la possibilità di fare attività all’aperto con l’educatrice e non ha ancora potuto iniziare il campus estivo, perché l’educatrice non è più autorizzata ad accompagnarlo. Ma non solo. "Alle educatrici è stato vietato anche di aspirare il bambino – fa sapere Federica –. Un’attività, questa, che ora l’ente considera come sanitaria. Tutto questo senza che le condizioni di salute e i bisogni di mio figlio siano diversi da quelli che sono sempre stati in questi 5 anni. Non si sta tenendo in alcun conto il bene di un bambino di 11 anni. Si è preferito alzare un muro per mettersi al riparo da responsabilità vere o presunte".

Una speranza sembra possa arrivare dall’Asst Sette Laghi (competente per il territorio di Sesto Calende, dove risiede Federica), intenzionata a ripristinare l’originale progetto educativo di Tommaso con tutte le attività previste fino a 8 giorni fa. Ma problema rivela problema. Federica ha chiesto a Casa Don Guanella di essere assistita a domicilio da un’infermiera, visto e considerato che l’aspirazione è ritenuta attività sanitaria. Ma l’ente non ha infermieri disponibili. E sul territorio di Sesto Calende non ci sono altri enti in grado di garantire alla famiglie infermieri, educatori e i profili di cui c’è bisogno per i servizi a domicilio. Una carenza generalizzata. Da qui due domande: la disponibilità di personale non è forse tra i requisiti necessari per poter essere accreditati dalla Regione? E, allora, chi fa i controlli?

 

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