GIULIA BONEZZI
Cronaca

Cristina e il male delle ossa di vetro: "La diagnosi è stata una fortuna"

In cura al Policlinico, due mesi fa ha avuto un bambino ed è sano

Cristina, trent’anni e il suo compagno Davide

Milano, 15 febbraio 2017 - «Io sono fortunata», è la prima cosa che di sé dice Cristina, che ha trent’anni, un bambino di due mesi e mezzo, e l’osteogenesi imperfetta. Una malattia rara - un caso ogni dieci-ventimila nati -, genetica, la chiamano «malattia delle ossa di vetro» perché un’alterazione nella produzione del collagene rende l’apparato scheletrico sottile, fragile, nei casi più gravi provoca deformità, riduce l’aspettativa di vita. «Sono fortunata perché ce l’ho nella forma più lieve. Ha delle conseguenze, devo stare attenta, evitare certe cose. Faccio una vita tranquilla».

Le persone come Cristina si “rompono” facilmente, e aggiustarle è lungo e complicato. «Da bambina ho avuto tante fratture, poi dagli otto-dieci anni non mi sono più fatta male, ho imparato a stare tranquilla e i miei mi hanno sempre tutelata. Non mi sono sentita diversa dagli altri». Un’altra ragione per cui Cristina si sente «fortunata» è sapere cos’ha: «Avevamo girato tanti ospedali ma nessuno era andato a fondo. Poi nel 2010 mio fratello minore ha avuto un incidente con un trauma gravissimo, e siamo arrivati al Policlinico di Milano». Lì hanno diagnosticato l’osteogenesi imperfetta, «a lui, a me e a mia mamma. Nella sua famiglia c’è una fragilità ossea ma nessuno aveva mai fatto un’indagine genetica». Per una malata rara, può essere una liberazione: «Sapevamo che qualcosa che non andava e finalmente abbiamo avuto una risposta: ci possiamo tutelare, anche se non si guarisce, certo. Ma al Policlinico mi curano dei dottori che secondo me sono il massimo: Maria Francesca Bedeschi, genetista, Fabio Massimo Ulivieri, reumatologo, Laura Trespidi», la ginecologa che l’ha seguita alla Mangiagalli quando è rimasta incinta. «Con Davide, il mio compagno, non l’abbiamo cercato: è arrivato quando doveva, il nostro regalo dopo tanti anni insieme. Ho seguito le indicazioni dei medici e ho avuto una gravidanza tranquilla. Come tutte le donne in attesa ero spaventata, avendo una malattia è normale esserlo di più. Speri che il tuo bimbo non abbia nulla». Cristina e Davide hanno deciso di non fare l’amniocentesi per saperlo: «È un esame con qualche rischio per il bimbo, l’abbiamo voluto evitare. Se avesse avuto la mia malattia avremmo fatto come i miei: gli saremmo stati vicini, l’avremmo protetto senza farlo sentire diverso». Dieci giorni fa ha telefonato la genetista: «Non ce l’ha. Ho pianto, mi sono sentita la persona più fortunata del mondo».

Il 27 febbraio è la giornata mondiale delle malattie rare, e il Policlinico ospita, nel chiostro della Statale, una mostra fotografica con le storie di 70 pazienti. Degli otto in cura alla Ca’ Granda, una è Cristina: «Ci sono persone che hanno forme e malattie molto più invalidanti, non posso mettermi nei panni loro, ma penso lo stesso che bisogna andare avanti senza farsi buttare giù. Lottare per avere una vita normale. Forse col tempo sentirò di più il peso della malattia, ma non voglio che mi schiacci. Mi sento forte perché ho i miei dottori: non c’è niente di peggio che sentirla addosso senza sapere cos’è e pensare che nessuno possa aiutarti. Sono fortunata perché non sono sola».