
Giuseppe Sala
Milano, 6 giugno 2019 - Continuerà a fare il sindaco di Milano, non intende dimettersi, ma la condanna a sei mesi (convertita a 45 mila euro di pena pecuniaria) pesa come un macigno su Giuseppe Sala, che si sente vittima della guerra tra le Procure milanesi e nel commento a caldo, subito dopo la sentenza della decima sezione del Tribunale di Milano, mette addirittura in dubbio la sua ricandidatura alle elezioni comunali del 2021: «Per prima cosa voglio garantire ai milanesi che continuerò a svolgere il mio lavoro.
Lo farò con la dedizione che conoscono. Lo farò per i due anni che mi mancano. Di guardare avanti, in questo momento, ovviamente non me la sento». Non solo. Il manager prestato alla politica prima come city manager del Comune, poi come commissario straordinario dell’Expo 2015 e dal giugno 2016 come sindaco vede messo in discussione tutto il suo lavoro da amministratore pubblico: «La mia conclusione è che oggi qui si sia processato il lavoro. Ed io di lavoro ne ho fatto per la comunità veramente tanto».
Sala è stato condannato per falso ideologico per avere firmato il 31 maggio 2012, ma con una data retrodatata al 17 maggio, due atti ideati per sostituire due commissari della più importante gara di Expo, quella per la Piastra da 272 milioni di euro. Una retrodatazione che sarebbe servita a Sala, allora commissario di Expo, per evitare di rifare la procedura per la nomina dei due commissari e dunque per scongiurare ritardi sui lavori per la realizzazione del sito espositivo ai confini tra Milano e Rho. Sala ha sempre rivendicato con orgoglio di essere riuscito a far completare i lavori nei tempi previsti e di aver fatto sì che l’Expo si trasformasse in un successo per Milano e per l’Italia. Ma il Tribunale ieri ha messo in dubbio che l’iter per l’evento si sia svolto in maniera corretta.
Un brutto colpo per Sala, che nel dicembre 2016, quando aveva saputo di essere stato indagato per falso ideologico, aveva fatto un passo indietro clamoroso: si era autosospeso da sindaco per cinque giorni. Un gesto forte per affermare la sua innocenza. Due anni e sei mesi dopo, però, Sala è stato condannato, ma si considera innocente e vittima della guerra tra le Procure meneghine. Sì, perché la Procura, quando lui era ancora candidato sindaco, aveva chiesto l’archiviazione dell’accusa, ma la Procura generale ha avocato a sé il caso e ha chiesto una condanna di 13 mesi per Sala.
Alla fine i mesi sono stati solo sei e la condanna è stata convertita in pena pecuniaria, ma il sindaco mastica amaro: «È comunque una condanna». Il primo cittadino, subito dopo, allarga il ragionamento dal suo caso a un effetto domino più generale che potrebbe avere: «Mi vien da pensare che io alla fine sono una persona resistente, l’ho dimostrato in tanti momenti delicati della mia vita (Sala è guarito da un cancro, ndr) e attingerò alla mie risorse per essere un’altra volta resistente e per riuscire ad andare avanti. Però una sentenza del genere, dopo sette anni abbondanti, per un vizio di forma che non ha prodotto nessun effetto, credo che allontanerà tanta gente onesta, capace e perbene dall’occuparsi di cosa pubblica. Questi sono i sentimenti negativi che ho dentro», moltiplicati dal fatto di essere l’unico condannato in questo processo Expo.
Sentimenti negativi che potrebbero avere ripercussioni sulle future scelte del sindaco, combattuto tra la ricandidatura nel 2021 e un possibile salto nella politica nazionale. Sentimenti molto diversi da quelli di appena 11 giorni fa, lo scorso 24 giugno, quando Sala esultava a Losanna dopo la conquista da parte di Milano-Cortina delle Olimpiadi invernali del 2026. Ieri, invece, il sindaco ha lasciato il Tribunale scuro in volto. La vita di un politico è fatta anche di questi saliscendi emotivi. Dalle stelle alle stalle in poco più di una settimana. Ma, nel caso di Sala, sempre a testa alta.