
Esattamente 4 mesi fa sembrava difficile, per non dire impossibile, che Regione, Comune e Università Statale potessero archiviare il vecchio Accordo di Programma avviato a novembre 2017 per il ripensamento di Città Studi e aprirne un altro, aprirne uno tutto nuovo così come tutto nuovo era il progetto nel frattempo presentato dall’ateneo. Esattamente 4 mesi fa, vale a dire il 23 dicembre 2020, accadeva che l’incontro su Città Studi si chiudesse tra il malcontento generale: da un lato l’assessore comunale all’Urbanistica, Pierfrancesco Maran, dall’altro il rettore della Statale, Elio Franzini. Nel mezzo la Regione, disponibile ad andare nella direzione indicata da Franzini. A dividere il rettore e l’assessore era proprio la diversa valutazione dell’opportunità di archiviare il vecchio Accordo di Programma o, quanto meno, di trovare un binario alternativo, senza rimuovere quello esistente, dove far viaggiare spedito un progetto che si era oggettivamente arenato dopo soli tre incontri, uno dei quali limitatosi alla pura formalità. Non proprio una formalità, invece, quella sulla quale il 23 dicembre si consumò lo strappo. Il rettore spingeva per il cambio di strumento, convinto che se ne dovesse adottare uno coerente al nuovo progetto, dal contenuto puntuale e con un regia limitata agli attori coinvolti in prima battuta. Uno strumento del genere, secondo il rettore, meglio si prestava a candidarsi ai finanziamenti del Recovery Plan. Di tutt’altro avviso l’assessore comuale, che non vedeva ragioni per cambiare. Una disparità di vedute che ha portato alla costruzione di diplomazie alternative. Così nella partita di Città Studi ha avuto un ruolo via via crescente Christian Malangone, direttore generale del Comune e uomo fidatissimo del sindaco Giuseppe Sala. L’uomo al quale finiscono i dossier più complicati perché siano risolti. Come è successo per Città Studi.
Giambattista Anastasio