REDAZIONE MILANO

L’intellettuale e la corte, il prezzo di innovare all’ombra del potere

L'artista Filippo Panseca rivoluziona la comunicazione politica con estro e kitsch, trasformando i congressi di partito in spettacoli televisivi. Un'analisi critica di Guido Bandera.

L’intellettuale e la corte, il prezzo di innovare all’ombra del potere

L'artista Filippo Panseca rivoluziona la comunicazione politica con estro e kitsch, trasformando i congressi di partito in spettacoli televisivi. Un'analisi critica di Guido Bandera.

C’era una volta il congresso di partito: rito in bianco e nero anche se a colori. Un teatro spoglio, un sipario scuro. Un manifesto sotto al podio e una bandiera col simbolo sul tavolo dei relatori. Blu o bianca per i democristiani. Rossa per socialisti e comunisti. Poi, uno slogan, lungo e complesso, su uno striscione. “Nuovi orizzonti. L’unità per la svolta attraverso la gradualità“. Alchimie di una politica che alla fine degli anni Settanta era improvvisamente lontana dai tempi. Ci era voluto un artista, di quei flaneur sperimentatori che giravano a Brera, fra caffè e accademia, uno che non aveva paura di giocare con il kitsch, con i neon e con gli schermi televisivi, per spazzare via dal palco dei comitati centrali socialisti la falce e il martello, ma soprattutto la compassata comunicazione politica dei trent’anni precedenti. Filippo Panseca sta alla comunicazione politica come Canale 5, con i suoi specchi per allargare le platee, le paillette e le ragazze procaci, sta alle paludate annunciatrici e all’intervallo della Rai. Una rivoluzione. Nel bene e nel male. Un segno dei tempi, i tempi nei suoi disegni. Nasce così, con magniloquenza, vistoso come un paio di spalline sotto il vestito, il tempio greco che incornicia la segreteria politica socialista, fra le scritte luminose, al congresso di Rimini del 1987. Così prende vita quello di Torino, del 1982, dove fra qualche mugugno, la falce e martello su libro aperto del Psi di Nenni diventa piccina piccina e si sposta sotto un enorme garofano rosso. La politica è già studio televisivo. Il reality arriverà dopo. Un merito e una colpa, per Panseca. Dell’artista, delle sue sfere che assorbono l’inquinamento, della sua arte biodegradabile in pochi si ricordano. Ingiustamente, ma inevitabilmente. Altri intellettuali si sono seduti all’ombra della politica. Ma nessuno rimprovererà mai a Renato Guttuso di aver dipinto i funerali di Togliatti, opera potente, ma organica e allineata. E soprattutto tradizionale. La colpa di Panseca, in fondo, è quella di aver raccontato una politica che ha perso.Guido Bandera