SIMONA BALLATORE
Cronaca

L’installazione delle sopravvissute. Abiti simbolici, storie vere di abusi: "Smontiamo pregiudizi e violenza"

Percorso di formazione su stereotipi, relazioni e consenso all’alberghiero Lagrange con Cerchi d’Acqua . E gli studenti guidano i coetanei: "Non sono temi lontani da noi, può succedere a tutti: parliamone a scuola". .

Andrea, Manuel, Luna e Federica guide della mostra. con la docente Anna Binetti

Andrea, Manuel, Luna e Federica guide della mostra. con la docente Anna Binetti

"Com’eri vestita?". Parte da questa domanda la mostra che sarà ospitata fino a venerdì all’istituto alberghiero Lagrange. Da una domanda che è un pugno nello stomaco per chi ha subito violenze. L’installazione, ispirata dalla poesia “What I was Wearing“ di Mary Simmerling, ha preso per la prima volta forma negli Stati Uniti e sta girando il mondo grazie a centri antiviolenza come Cerchi d’Acqua. A fare da guida ai ragazzi sono gli studenti di quarta A e B dell’indirizzo di Sala e vendita. Prima hanno seguito un percorso di formazione, con Cerchi d’acqua, per analizzare stereotipi di genere, relazioni e consenso. Poi hanno ospitato a scuola la mostra, che spiegano ai coetanei per affrontare il tema, tra pari.

Andrea, Luna, Federica e Manuel si sono proposti di fare da guide. "Se non affronti questi temi nell’ambiente della scuola dove puoi farlo in maniera così approfondita? All’inizio sembra lontano da noi, ma può capitare a tutti di essere vittima di violenza, a ragazze e anche a ragazzi", raccontano davanti agli scatoloni con i vestiti. "Abiti simbolici, storie vere, come le parole che li accompagnano: sono di donne che sono sopravvissute alla violenza", spiegano gli studenti. Ci sono un pigiama, una tuta, un abito da sera, un grembiulino. La poesia di Mary Simmerling si ascolta con la voce di Paola Cortellesi, in video. Un quadernino raccoglie le impressioni dei ragazzi, che qui si confrontano tra loro, a cuore aperto. "Trovo incredibile che nonostante tutte le violenze la colpa venga attribuita molte volte a chi subisce", scrive uno studente. "La cosa che mi rattrista – scrive un’alunna – è che nonostante sperassi di non vedere il vestito di una bambina, già sapevo ci sarebbe stato". "Le ragazze che hanno visitato la mostra sono sembrate più “coinvolte“, in quinta abbiamo trovato consapevolezza anche nei ragazzi. I più giovani all’inizio erano distratti – spiegano Andrea, Luna, Federico e Manuel –: proprio per questo se ne deve parlare di più. E questa mostra, d’impatto, aiuta a farlo". "Riuscire a individuare gli stereotipi che stanno vivendo anche inconsciamente aiuta i ragazzi a essere più liberi e a riconoscerli nella loro vita – sottolinea la professoressa Anna Binetti, referente contro la violenza sulle donne –. Si devono rendere conto dei retaggi culturali, devono capire da dove vengono convinzioni da smontare, sulla violenza, sull’idea di possesso di una persona". "Abbiamo cercato di raccontare uno spaccato della realtà con cui entriamo in contatto quando conosciamo le donne che si rivolgono a noi – spiegano da Cerchi d’Acqua – . Come ha detto una di loro affidandoci il suo abito e le suggestioni che l’accompagnano: “Così me ne libero, affidandolo a voi io sono libera…!” È difficile raccontare la violenza: ma quando una donna prende parola, lo fa per tutte".