REDAZIONE MILANO

LIBRI A CONFRONTO DI ANTONIO CALABRO' - Quell’odore dei soldi che sa di sangue e morte

L’odore dei soldi. Pervasivo, inquietante. E stravolgente, per chi non ha un robusto equilibrio di valori umani. Sino agli affari più cupi, alla menzogna e al delitto. Una “bassa marea morale”, per ricordare Italo Calvino de “La speculazione edilizia”, testimonianza profetica d’un degrado che arriva sino a oggi di Antonio Calabrò

Libri a confronto di Antonio Calabrò

Milano, 21 marzo 2015 - L’odore dei soldi. Pervasivo, inquietante. E stravolgente, per chi non ha un robusto equilibrio di valori umani. Sino agli affari più cupi, alla menzogna e al delitto. Una “bassa marea morale”, per ricordare Italo Calvino de “La speculazione edilizia”, testimonianza profetica d’un degrado che arriva sino a oggi. È appunto una Bari livida e cattiva, quella in cui Nicola Lagioia ambienta il suo nuovo romanzo dal titolo esemplare, “La ferocia”, per Einaudi. Al centro, c’è Clara, ragazza bellissima e malcerta, figlia di Vittorio Salvemini, costruttore arrivato al successo con metodi spregiudicati (l’ironia di Lagioia lo battezza con un cognome importante, che ha connotato la migliore storia intellettuale e morale del Sud). La vediamo vagare, di notte, nuda e insanguinata, sulla superstrada tra Bari e Taranto. E poi la ritroviamo morta. “Suicidio”, si dice. Chissà. Il libro si dipana dalle dissolutezze dei Salvemini ai traffici tra politica, edilizia e criminalità e alle manovre d’affari (Vittorio Salvemini si fa consegnare dal figlio Ruggero, brillante oncologo, le liste dei malati terminali, sui cui beni imbastire sordide speculazioni). E soprattutto nella seconda parte gira attorno all’inchiesta, condotta da Michele Sermonti, figlio extraconiugale, sulla morte dell’amata sorella Clara e sui retroscena d’una corrottissima città, metafora manifesta d’altri luoghi. La “linea della palma” anche qui ha superato il Sud. E sulla scena non c’è più una borghesia che pretende d’essere classe dirigente, con i suoi interessi e i suoi valori, ma solo un ceto ricco, volgare e impudente, cinico esempio d’un “familismo immorale” da clan che abita e devasta i nostri giorni. 

Rieccolo, infatti, quel clima, pure nell’Aosta in cui lavora il vicequestore Rocco Schiavone, il protagonista irrequieto e irregolare dei romanzi di Antonio Manzini, qui, in “Non è stagione”, per Sellerio, alle prese con la scomparsa d’una bambina, Chiara Berguet, figlia del più grosso costruttore della città. Indagine difficile, ostacolata dal fastidio degli ambienti privilegiati, amanti del segreto, per la presenza degli uomini della Legge. E oblique mescolanze, tra banche, cantieri d’appalti pubblici e racket della ‘ndrangheta. Umori neri, mentre la neve cade sulla città a maggio. E le montagne stanno a guardare le miserie umane. Un salto indietro nel tempo, nella Milano del 1950. Mario Arrigoni, capo del commissariato di Porta Venezia, indaga su “Il giallo di via Tadino” (è il titolo del romanzo di Dario Crapanzano, per Mondadori). Anche qui, si parte dalla morte d’una donna, Clara Bernacchi, bella e disinvolta, precipitata nel cortile d’una casa di ringhiera. Suicidio, si dice subito. Ma le cose, pure per Arrigoni, non sono come sembrano. Ed ecco emergere le storie d’interessi e avidità, in una città vivace che, finita la guerra, all’odore dei soldi si appassiona frenetica e vorace. Da Milano a Roma, con “L’estate assassina” di Gilda Piersanti per Bompiani. Si ritrovano teste mozzate e corpi decapitati, in un lido di Ostia, nelle catacombe, nello studio d’un artista famoso, Massimiliano Fegiz. Come se una Giuditta contemporanea consumasse la sua trama di giustizia con sanguinose vendette. Indaga l’ispettore Mariella De Luca. E l’inchiesta incrocia gli interessi tutt’altro che culturali che si celano dietro le vetrine dell’arte contemporanea, i vizi personali degli artisti e dei loro disinvolti familiari, le vendite di bambini, la dissolutezza morale spacciata per creatività. L’odore dei soldi sa di sangue e morte. Disgustoso.

Antonio Calabrò