
Grazia Lissi
Alla Fondazione Prada si parla di “Nabucco”, un viaggio nel capolavoro verdiano accompagnati da Riccardo Muti. Il maestro apre con una lectio magistralis la settima edizione dell’Accademia dell’Opera italiana, progetto di formazione rivolto ai giovani direttori d’orchestra, ai maestri collaboratori al pianoforte, ai cantanti, a tutti loro Muti trasmette la grande esperienza e conoscenza del repertorio operistico italiano. Ogni anno il maestro seleziona da tutto il mondo musicisti di età compresa fra i 18 e i 35 anni, diplomati in Direzione d’Orchestra, pianoforte e composizione, la selezione è avvenuta via video e curriculum, sono stati scelti 5 giovani per ogni categoria. "La composizione è fondamentale per un direttore, i maestri accompagnatori devono saper condurre ogni cantante non solo al pianoforte ma fornire loro la tecnica vocale, una lettura prima dell’incontro con il regista". Ricorda l’amico Strehler che diceva "Ci vuole un direttore che abbia il senso del teatro e un regista che sappia stare sul podio".
Fra le grandi edizioni di Nabucco dirette da Muti quella di Firenze regia di Luca Ronconi e quella al Teatro alla Scala regia di De Simone. "Nabucco è formato da quattro quadri: Gerusalemme, Empio, Profezia, Idolo Infranto" continua Muti, spiegando quanto la figura di Verdi e quest’opera abbiano assunto un forte significato durante il Risorgimento. "Ronconi per ricordare l’Unità d’Italia alla fine del dramma mostrò una figura di Vittorio Emanuele, erano gli anni ’70 e il pubblico lo coprì di fischi, quando il boato smise sentima una voce: “Ronconi nell’Arno!”". Era un’altra epoca. "Verdi fu costretto a scrivere Nabucco, era depresso dopo la morte dei suoi bambini e della moglie Margherita, non voleva più comporre. Nabucco fu un successo, nonostante non avessero soldi per metterlo in scena l’impresario Merelli noleggiò dei costumi di un balletto ispirato al racconto della Bibbia in scena anni prima". Alla Scala ci furono 56 rappresentazioni, a Vienna otto: un trionfo. "La gente, chi lavorava all’interno del teatro, tecnici, sarte si fermava ad ascoltare quella musica potente che rivelava la forza dell’Italia desiderosa di liberarsi dal giogo austriaco. Per questo ogni volta un politico annuncia che vuole sostituire l’Inno di Mameli con “Và Pensiero” mi viene da ridere. È un’aria da cantare in silenzio, è canto di dolore degli ebrei sulle rive dell’Eufrate, ogni nota deve soffrire, è un popolo che sta piangendo". Muti sottolinea con passione l’importanza della lirica nella formazione culturale degli italiani: "È nel nostro Dna Invece da noi cosa accade? Chiudono tutte le orchestre regionali per mancanzi di mezzi; a Seul ci sono 18 filarmoniche attive: perché da noi non accade? Da noi è nata l’opera, sono nate le sette note, le ha create Guido d’Arezzo". Non dobbiamo dimenticarlo.