Diana morta di stenti, le lettere in carcere alla madre assassina: "Alessia, ti aiutiamo"

Solidarietà e offerte di vestiti alla donna che ha ucciso la figlia di 18 mesi. Identificato il padre biologico: sarà chiamato dagli inquirenti per il test del Dna

Alessia Pifferi

Alessia Pifferi

Milano -Sono almeno una decina le persone pronte ad aiutare Alessia Pifferi, la donna di 36 anni ora in carcere a San Vittore con l’accusa di omicidio volontario pluriaggravato per avere lasciato la sua bimba di 18 mesi in casa sola per una settimana intera, senza acqua, né cibo. Sono persone che hanno contattato il suo avvocato per darle una mano, sapendo che oggi sia la madre naturale Maria, sia l’ormai ex compagno Mario, l’elettricista di Leffe, non la vogliono più vedere e hanno interrotto ogni rapporto con lei.

Il padre biologico

La madre Maria, nonna della piccola Diana, è già ripartita per Crotone dove si è trasferita a vivere con il nuovo compagno. Le persone che si sono offerte di aiutare la Pifferi le hanno per ora regalato abiti e l’occorrente per cambiarsi. Solange Marchignoli e il socio Luca D’Auria, sono andati in carcere per incontrarla, l’hanno trovata più lucida, più consapevole e pronta a collaborare. Il primo segnale è stata la confessione del nome e cognome del padre biologico di Diana agli inquirenti. La donna ha saputo fornire dettagli sull’uomo con cui dice di avere concepito la bimba. È un italiano a cui lei non avrebbe mai rivelato di essere il padre di sua figlia e lo avrebbe fatto per "tutelarlo". Lui, forse, non l’avrebbe mai riconosciuta, ma su questo la Pifferi non ha saputo dare altri dettagli.

Il test del Dna

Gli investigatori ora con l’identità e il telefono registrato nella rubrica di Alessia lo rintracceranno per l’esame del Dna e per capire se si tratta di un’informazione vera o se si tratta di un’altra invenzione. "Non riveleremo mai il nome dell’uomo in questione - fanno sapere gli avvocati Marchignoli e D’Auria in un comunicato - siamo vincolati al segreto per quanto riguarda i nostri colloqui e non è rilevante per le indagini". Il nome dell’uomo non cambierà certo in maniera sostanziale il quadro degli eventi tragici, ma servirà per ricostruire esattamente la veridicità dei racconti della donna in carcere.

L'appartamento

Gli avvocati hanno anche chiesto il dissequestro dell’appartamento di via Parea, quello in cui si è consumata la tragedia. Sul filo steso davanti a casa ci sono ancora i vestitini rosa di Diana, con i colori sbiaditi dal sole di questi giorni. I legali vorrebbero entrare nell’appartamento insieme ai periti, per capire bene come sono distribuiti i locali, come è il lettino della bimba. Fondamentali saranno gli esami tossicologici sul biberon. La donna ai suoi legali conferma di non aver mai somministrato calmante alla piccola Diana e che l’“En” trovato nella camera da letto appartiene a un uomo che aveva dormito da lei qualche notte.

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