
In doccia meglio tirare la tenda secondo i giudici di Cassazione
Milano, 9 genaio 2019 - Se fai la doccia in casa, ricordati di mettere le tende alle finestre. In caso contrario non va condannato per il reato di interferenza illecita nella vita privata chi fotografa o riprende una persona sotto la doccia, se quest’ultima non si è opportunamente sottratta a occhi indiscreti.
Per questo la terza sezione penale della Cassazione ha assolto «perché il fatto non sussiste» un 37enne milanese che aveva preso foto e video di una donna la quale nell’abitazione della madre - priva di tende alla finestra e situata proprio di fronte alla casa dell’imputato - era nuda e intenta a uscire dalla doccia. I giudici di piazza Cavour non hanno condiviso la tesi della corte d’appello milanese, secondo cui «le riprese video di una persona che si trovi nel bagno di un’abitazione privata è una condotta punibile ai sensi dell’articolo 615 bis c.p., non rilevando l’assenza di tende».
La Cassazione, invece, ha osservato che «l’imputato non utilizzò alcun accorgimento per fotografare e filmare la persona offesa» e che quindi «deve escludersi la configurabilità del reato, non essendo stati ripresi comportamenti della vita privata sottratti alla normale osservazione dall’esterno». La «tutela del domicilio - si legge nella sentenza depositata ieri - è limitata a ciò che si compie nei luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile a terzi».
Infatti, «affinché la condotta descritta integri il reato, è anche necessario che tale condotta sia posta in essere “indebitamente”». In altre parole, se «l’azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora» può «essere liberamente osservata dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti» non si configura una «lesione della riservatezza del titolare del domicilio».
All’imputato, dunque, la Cassazione ha lievemente diminuito la pena - dai 3 anni e 2 mesi inflitti in appello a 2 anni e mezzo definitivi - per altri capi di imputazione, relativi ad atti sessuali ai danni di una bambina e a video realizzati nel magazzino del suo bar - riconosciuto quale luogo di privata dimora - dove le sue dipendenti erano solite cambiarsi d’abito.