GIAMBATTISTA ANASTASIO
Cronaca

Le esperte chiamate dal ministro. Prima entusiaste, ora frustrate: "Diamo diritti ai caregiver familiari"

Tutte e tre presiedono associazioni e ogni giorno si prendono cura dei loro cari con disabilità. Da più di un anno lavorano con il Governo per una legge che tuteli chi assiste i soggetti fragili.

Tutte e tre presiedono associazioni e ogni giorno si prendono cura dei loro cari con disabilità. Da più di un anno lavorano con il Governo per una legge che tuteli chi assiste i soggetti fragili.

Tutte e tre presiedono associazioni e ogni giorno si prendono cura dei loro cari con disabilità. Da più di un anno lavorano con il Governo per una legge che tuteli chi assiste i soggetti fragili.

Erika Coppelli, Sofia Donato e Cristina Finazzi sono state chiamate dal ministro alla Disabilità, Alessandra Locatelli, a partecipare al Tavolo tecnico istituito per definire i contenuti di una legge statale che riconosca il ruolo e i diritti dei caregiver familiari, vale a dire di chi convive con un proprio caro con disabilità assistendolo 24 ore su 24. Tutte e tre sono caregiver famigliari. In aggiunta Coppelli è presidente del Tortellante, palestra di autonomia per giovani nello spettro autistico, Donato è portavoce del gruppo Caregiver Famigliari Comma 255 e Finazzi è portavoce del Comitato Uniti per l’Autismo. Il Tavolo si è insediato a gennaio 2024 e in 6 mesi avrebbe dovuto elaborare proposte da inserire nel Disegno di legge. Ma a più di un anno dall’avvio, la sensazione che prevale in Coppelli, Donato e Finazzi è "frustrazione". E non solo per un Disegno di legge che ancora tarda ad esser formalizzato ma anche per il metodo seguito durante i lavori e per il tenore del dibattito che l’ha accompagnato. Tutto spiegato dalle tre nella lettera di cui riportiamo ampi stralci.

"Siamo tutt’ora in attesa delle risultanze del lavoro svolto. L’entusiasmo di poter finalmente lavorare su questa materia, che dava risposta all’attesa di noi caregiver familiari impegnati in un percorso di consapevolezza ed emancipazione dal ruolo che la vita ci ha assegnato e nel quale la società ci ha rinchiuso, ha lasciato ben presto posto alla frustrazione. La volontà politica di coinvolgere la più ampia gamma di attori non ha seguito un principio elementare di distinzione, né di equilibrio numerico, tra le rappresentanze dei caregiver familiari, che sono individui con diritti propri, e le rappresentanze delle persone con disabilità, con particolare riferimento a chi della rappresentanza fa una professione. A questo si aggiunge che la validità delle istanze è stata valutata a maggioranza. Da subito si è evidenziato un disallineamento fra chi, abituato a difendere i diritti delle persone con disabilità, spesso anche da professionista, non comprende il dovere e l’urgenza di considerare il caregiver familiare nella sua individualità e di dare importanza al ruolo sociale che si assume e che lo costringe a sparire come cittadino; tra chi, considerando chiunque caregiver familiare, punta ad avere più servizi per la persona con disabilità, e chi chiede un’analisi dell’impatto che ha la convivenza del caregiver col congiunto con disabilità; tra chi dà per scontato che il caregiver familiare possa esser scelto dalle persone con disabilità e chi ritiene che alla condizione di disabilità debba corrispondere un sistema di servizi, non un caregiver famigliare; tra chi si rifiuta di accettare il distinguo fra persone con disabilità che abbisognano di un famigliare che si assuma il ruolo di caregiver e persone che convivono con disabilità che non intaccano la loro capacità di autodeterminarsi e per questo hanno bisogno di servizi, non di caregiver. Anche nelle audizioni della Commissione Sanità della Camera si sono messe insieme le rappresentanze dei caregiver familiari e le rappresentanze delle persone con disabilità che da decenni parlano a nome di ogni disabilità. In Commissione è stata audita anche il ministro Locatelli. In quell’occasione, mentre ascoltavamo, ci passavano davanti agli occhi le nostre vite e quelle di tanti caregiver familiari. La nascita dei nostri figli con disabilità intellettivo-relazionale e del neurosviluppo, la complessità e la numerosità delle cose da affrontare fin da subito, la necessità di una presenza continua per valutare e scegliere sulla loro vita, la necessità di relazionarsi con professionisti e servizi, di scegliere equipe e strategie utili, nell’impossibilità dei nostri figli di fornire il proprio apporto, ci hanno costrette a ridurre drasticamente quando non ad abbandonare il lavoro e affrontare una condizione di dipendenza economica che non era nella nostra indole. Ma non abbiamo avuto scelta.

Noi che viviamo con figli che non distinguono le proprie emozioni, che non hanno un canale comunicativo utile a relazionarsi col mondo e con i servizi, che non sanno organizzare la giornata ma necessitano di stimoli per scandire un tempo di cui non hanno contezza, che abbisognano di anticipatori e continuità nei luoghi e nelle relazioni per non incorrere in comportamenti-problema, noi conosciamo la condizione unica e solitaria del caregiver familiare. L’impossibilità di cedere e la paura per il futuro dopo di noi sono i compagni di una vita sempre in allerta, sotto continuo ricatto affettivo perché tutto dipende dalla nostra lucidità. All’ascolto dei deputati, che parlavano di persone con disabilità e non di caregiver famigliari, aumentavano in noi sbigottimento e delusione. Possibile che l’esistenza del caregiver sia ancora confusa e legata alla condizione di disabilità o al bisogno assistenziale della persona con disabilità? Da anni ci battiamo per imporre un cambio di paradigma culturale che veda in noi persone che devono essere sostenute e riconosciute per il ruolo sociale che ricoprono. La massificazione delle misure è nemica di ogni giusto intervento legislativo e un ostacolo alla capacità di individuare chi è il caregiver familiare per poi valutarlo come individuo titolare di diritti propri. Una norma sul caregiver familiare deve rispondere alle esigenze di questi".