
Blitz dei carabinieri in una ditta di Bollate specializzata nel confezionamento di abiti griffati. La denuncia di un dipendente: ho chiesto 10mila euro di arretrati e mi ha fratturato il polso.
Ambienti ben oltre il limite della vivibilità. Luoghi di lavoro insicuri. Stipendi nettamente al di sotto della soglia minima prevista dalla legge e peraltro corrisposti in maniera tutt’altro che regolare. Tanto che a febbraio uno dei dipendenti-schiavi della ditta di Bollate specializzata nel confezionamento di abiti ha cercato di far valere in qualche modo le proprie ragioni, chiedendo al titolare occulto dell’azienda che gli venissero pagati salari arretrati per circa 10mila euro.
Per tutta risposta, quest’ultimo lo avrebbe aggredito, provocandogli la frattura di un polso e una prognosi di 45 giorni. È stato proprio quell’uomo, esasperato dalle continue vessazioni, a presentare una denuncia in Procura e a far scattare gli accertamenti investigativi dei carabinieri del Nucleo operativo del Gruppo per la tutela del lavoro di Milano, coordinati dal tenente colonnello Loris Baldassarre, che negli scorsi mesi si sono occupati in più occasioni di situazioni del genere nell’ambito delle indagini sugli opifici illegali e sulle commesse senza controlli di alcune griffe dell’alta moda.
Otto giorni fa, i militari hanno fatto irruzione nel capannone dell’hinterland e hanno arrestato in flagranza un cinquantunenne cinese con l’accusa di caporalato, reato normato dall’articolo 603 bis del codice penale che punisce l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro con pene da uno a cinque anni (da cinque a otto anni se i fatti vengono commessi con violenza o minaccia). Stando a quanto emerso, l’imprenditore asiatico avrebbe sfruttato dieci connazionali, di cui sei in nero e cinque senza permesso di soggiorno in Italia. Spesso i dipendenti dell’azienda erano costretti a lavorare per 90 ore settimanali, "con retribuzioni di 4 euro all’ora senza fruire di riposo settimanale"; manco a dirlo, a nessuno di loro è stata garantita la formazione professionale né la sorveglianza sanitaria prevista dalla legge. Gli operai non lasciavano mai la fabbrica: dormivano all’interno di locali ricavati abusivamente nel perimetro della sede della ditta. Pure il cinquantunenne, recluso a San Vittore da più di una settimana, figurava formalmente come dipendente dell’impresa, formalmente intestata al figlio, ma le dichiarazioni dei lavoratori vessati lo hanno indicato senza ombra di dubbio come il vero proprietario.
Durante il controllo, due donne, irregolari, si sono nascoste nel vano montacarichi collocato sul tetto dell’edificio, mettendo a rischio la propria vita; secondo le informazioni a disposizione, era stato proprio il titolare a dare loro indicazioni sul comportamento da adottare in caso di blitz delle forze dell’ordine. A valle degli approfondimenti d’indagine, i carabinieri hanno disposto la sospensione dell’attività imprenditoriale per gravi violazioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e per impiego di dipendenti senza contratto, con ammende pari a 95mila euro e multe amministrative per altri 39.200 euro.