L’escalation preoccupante di incidenti stradali con conseguenze irreversibili, e nella maggior parte dei casi drammatiche, a danno di pedoni e ciclisti, è un problema sotto gli occhi di tutti. Politici e cittadini. Se dai primi ci si aspetta un maggior numero di norme a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, dagli altri una sapiente osservanza delle regole. "Ma la città in continua trasformazione sta mettendo a dura prova gli uni e gli altri". Lo spiega Giampaolo Nuvolati, professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio dell’università Bicocca, intervenuto proprio per dare il suo punto di vista (competente) a riguardo.
Da dove si parte per osservare la casistica del fenomeno da punto di vista sociologico?
"Partiamo dal presupposto che in termini assoluti, nella sola città metropolitana di Milano avvengono il 40% degli incidenti, il 39% dei feriti e il 23% dei morti dell’intera regione Lombardia. Da qui possiamo cominciare la nostre riflessioni. Si è mai guardata attorno ad un semaforo in pieno centro città? La fotografia del numero e della tipologia delle persone che si incrociano ad un attraversamento pedonale a Milano non è molto diversa da quanto si potrebbe vedere a Manhattan, nel cuore di New York. Il capoluogo lombardo continua a crescere sotto il profilo dell’attrattività, portando all’attenzione di amministratori e residenti, esigenze complesse e diversificate. Dunque, la seconda domanda che mi sorge spontanea è: quante città in Italia aumentano la propria capacità di accoglienza come Milano? In totale vanta un milione e 300mila abitanti residenti, ma più di due milioni di frequentatori in media durante il giorno. La risposta è semplice. Nessuna. Bisogna lavorare proprio su questa complessità".
Dunque le responsabilità principali di chi sono?
"Non credo sia opportuno entrare nel merito delle incombenze amministrative, anche se sono convinto che di fronte ad un contesto così critico, solo politiche severe possono evitare il “normalizzarsi“ della situazione. Se c’è un modello urbano inadatto? Può essere. Non possiamo dimenticarci, però, che Milano è un’ottima città dal punto di vista dei trsporti, che negli ultimi tempi sta cercando di muoversi in direzioni opposte per far convivere tutte le diverse anime. Piuttosto concentriamoci sulle modalità in cui fruiamo dei suoi spazi".
Ci può dare esempi concreti?
"Certamente. Prima di parlare di soluzioni, vorrei portare alla luce alcune dinamiche. In quanto cittadini inglobati nella nostra centrifuga quotidiana, facciamo fatica ad acquisire la cultura della lentezza. Quella che dovremmo mettere in pratica quando passiamo per il centro cittadino, ad esempio: alcune auto sfrecciano come in autostrada, invece dovrebbero girare a passo d’uomo. Inutile mettere i vincoli se non si comprendono i motivi per cui si rendono necessari. Il paradosso è che mentre negli anni passati esisteva esclusivamente una cultura della velocità, negli ultimi tempi si sta intensificando quella della sostenibilità e proprio questo binomio agli antipodi genera continui momenti di collisione. Mi piace la metafora della scala mobile. A Milano, così come in tutte le metropoli, la fila a destra è occupata da turisti quella a sinistra da pendolari, lavoratori e qualche residente. Se per la fretta ci mettiamo a spingere chi ci sta davanti o a bloccare chi ci sta dietro per l’eccessiva flemma, si crea un cortocircuito e confusione".
In concreto cosa si può fare?
"La città è per sua natura difficile da domare. Allo stato attuale delle cose però abbiamo di fronte una sfida: continuare ad allargare la forbice tra chi corre e chi passeggia oppure aprire un dialogo e un ponte tra le due mentalità. Mettiamo insieme i bisogni e lavoriamo sulla cultura del rispetto reciproco".
Pedoni e ciclisti vogliono tutele. Cosa ne pensa?
"Propendo per una regolamentazione a loro favore infatti, al momento sono i più fragili".