L’addio al professor Federico Bucci: "Carismatico e appassionato. Le sue lezioni sempre affollate"

Docente di Storia dell’architettura al Politecnico di Milano e punto di riferimento a Mantova. Il ricordo di Stefano Capolongo, direttore del Dipartimento. "Intellettuale fuori dal coro".

L’addio a Federico Bucci

L’addio a Federico Bucci

Milano, 17 settembre 2023 – Il "carisma" del professore che incantava gli studenti con le sue lezioni di Storia dell’architettura. Il pensiero dell’intellettuale "fuori dal coro" che "distingueva fra architetti e archistar". Il collega di "fiducia" e l’amico geniale che conosceva l’arte della "leggerezza".

Qualità di Federico Bucci – docente al Politecnico di Milano e prorettore del polo territoriale di Mantova, scomparso ieri a 64 anni per le conseguenze del grave incidente 15 giorni fa a Garda, dove è stato investito da un’auto mentre faceva jogging – rimaste impresse nella memoria di Stefano Capolongo, direttore del Dipartimento Architettura e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano. "Federico Bucci aveva 11 anni in più di me ed è stato uno di quei docenti che mi ha fatto appassionare alla materia. Ci siamo conosciuti 20 anni fa e, negli ultimi 3 anni, da quando sono diventato direttore del Dipartimento, la nostra collaborazione e amicizia si è fatta più stretta" spiega Capolongo, anche ordinario di Hospital Design e Urban Health.

Com’era il Bucci professore?

"Un docente di straordinaria cultura e carismatico, che ci sapeva fare con l’insegnamento: le sue lezioni erano fra le più affollate dell’ateneo. È stato uno dei più grandi esperti di storia dell’architettura contemporanea e uno studioso fra più attenti dell’opera di Franco Albini. Aveva questa capacità di riuscire a sminuzzare i concetti più complessi e difficili per renderli chiari e comprensibili".

Come collega?

"Nonostante i molteplici incarichi, è sempre stato parte attiva della vita del Dipartimento di cui è stato padre fondatore. Ha dimostrato sempre indipendenza, autonomia di giudizio e senso critico: se qualcosa non andava bene non aveva paura ad esporsi. Tante volte ci ha aiutato a cambiare idea su alcune scelte ma non perché imponesse il suo punto di vista: era la forza delle sue argomentazioni, di vedere le cose in modo "laterale". Come tutti i grandi intellettuali, aveva la capacità di formulare un pensiero fuori dal coro ma senza creare spaccature: apriva il dibattito perché si arrivasse poi assieme a una sintesi. Se c’erano problemi, come succede in ogni posto di lavoro, rendeva la strada facile. Era uno di quei colleghi che merita piena fiducia: mancherà a tutti".

Cosa mancherà a Lei del Bucci amico?

"Quella "leggerezza", che "non è superficialità", di cui parlava Italo Calvino, con cui prendeva la vita. Un sulfureo sense of humour faceva parte della sua quotidianità. Si rideva spesso con Federico".

Avete mai discusso dell’ascesa delle archistar nel panorama contemporaneo?

"Era convinto che molte operazioni – non solo a Milano – fossero formalismo puro e che in esse l’architettura entrasse solo marginalmente. Nomi non ne faccio perché non vorrei offendere qualche collega. Ad ogni modo Federico faceva una distinzione netta fra architetti e archistar. Solo i primi – come Franco Albini – conoscono il rigore del metodo".

Quando vi siete sentiti per l’ultima volta?

"Via email ad agosto, perché l’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles ci ha contattati per organizzare una mostra su Renzo Piano che ha donato al Politecnico il suo archivio. Spero che il progetto si realizzi, sarebbe il miglior modo per onorare la sua memoria".

In serata, il messaggio del Politecnico sui social: "La comunità del Politecnico di Milano piange la scomparsa del professor Federico Bucci".