LUCA TAVECCHIO
Cronaca

Laboratorio sotto la Madunina: "Tra storia e sperimentazione. La natura torna protagonista. E se ci fosse anche l’acqua?"

L’archistar Carlo Ratti promuove il nuovo cuore della città targato Ermegildo Zegna "Il futuro? Un bacino che col suo riflesso ci costringa a guardare il cielo e la cattedrale".

È passato un mese da quando il bosco alpino in miniatura targato Ermenegildo Zegna ha cambiato il volto di piazza Duomo, sostituendo l’aiuola di banani e palme firmata Marco Bay-Starbucks. Una piccola (grande) rivoluzione per il cuore della città che, nonostante lo status di simbolo millenario di Milano, è in continuo mutamento. Ne abbiamo parlato con Carlo Ratti, uno dei protagonisti dell’architettura mondiale, che sotto la Madonnina ha firmato il nuovo campus della Statale a Mind e il nuovo quartiere che sorgerà dal 2026 sulla grande area dell’ex Scalo Romana. Due interventi diversi tra loro ma con un denominatore comune: le aree verdi e lo spazio che la natura occupa nei progetti. Un’attenzione che Ratti ha ritrovato anche nella nuova piazza Duomo, almeno come messaggio e come linea guida del laboratorio che lo spazio davanti alla cattedrale è diventato. Anzi, visto che di laboratorio si tratta, la riflessione - dice l’architetto - deve spingersi oltre e trovare terreno per la sperimentazione, arrivando fino a piazza dei Mercanti e magari - per ora è solo una suggestione - pensando a un elemento finora trascurato: l’acqua.

Carlo Ratti, il nuovo spazio verde in Duomo è l’ennesima trasformazione per la piazza simbolo di Milano. Cosa ci dice della città questo continuo “movimento” del suo luogo simbolo? È poco rispetto e mancanza di memoria?

"Piazza del Duomo ha bisogno di un completamento sul lato della Piazza dei Mercanti. Si tratta di un tema su cui si sono cimentati in molti, tra cui Ignazio Gardella, mio lontano parente, con due proposte molto diverse e mai realizzate nel 1934 e nel 1988. Mi piace che la piazza continui ad essere terreno di sperimentazione, oggi in particolare relativamente a nuovi modi per riportare la natura in città. Negli ultimi anni Milano è stata infatti in prima linea nel tentativo di utilizzare il verde come elemento fondamentale della progettazione urbana. Anche noi nel 2018 avevamo realizzato, per l’inaugurazione del Salone, il progetto “Living Nature”, un giardino di 500 metri quadrati con quattro microcosmi naturali e climatici che richiamavano le quattro stagioni. Così mi piace l’idea che ad essere ospitata oggi sia parte dell’Oasi Zegna, un ecosistema unico e sulle nostre Alpi. Non direi mancanza di rispetto, al contrario, si tratta di usare la piazza simbolo di Milano in maniera filologicamente corretta, come terreno di sperimentazione".

Le piazze simbolo, magari con oltre mille anni di storia sulle spalle come piazza Duomo, devono rimanere immobili, testimonianza del passato, o è giusto che si trasformino?

"Umberto Eco, insieme al quale fondammo quando ero ancora studente il Collegio di Milano, considerava la metafora uno strumento cruciale per una nuova conoscenza, perché capace di spingere le persone a mettere in discussione la propria visione del mondo. I luoghi simbolici quindi devono evolversi per adeguarsi all’evoluzione del contemporaneo. Mi viene in mente anche Tonino Guerra, quando racconta di un uomo che cammina dritto e preciso verso il futuro, ma gira spesso la testa all’indietro. Quando gli chiedono come mai, lui risponde: ’Se non so da dove arrivo non so dove andare’".

Qual è il metodo per intervenire in spazi così centrali e storicizzati come piazza Duomo: assoluto rispetto filologico, rivoluzione, piccoli ritocchi?

"Credo che sia importante lavorare sulla linea di confine tra temporaneo e permanente: usare il temporaneo per testare diversi possibili interventi e quindi lasciare scegliere ai cittadini che cosa debba essere integrato. Ottima quindi la sperimentazione. Attenzione soltanto a non incespicare nel detto (forse apocrifo) di Flaiano: ’In Italia nulla è più definitivo del provvisorio’".

Il verde può essere una chiave di intervento?

"Deve esserlo, soprattutto in un modo che si sta surriscaldando in maniera più rapida di quanto pensassimo anche solo uno o due anni fa. Il mese scorso a Rio de Janeiro, dove abbiamo un ufficio, c’erano più di 60 gradi percepiti, una temperatura alla quale sia lei sia io resteremmo in vita poco tempo. Il verde è una delle poche soluzioni che abbiamo a disposizione per contrastare le cosiddette isole di calore urbane".

Come immagina piazza Duomo tra cinquant’anni?

"Uno spazio di sperimentazione, così come è stata a partire dal XIV secolo. E un punto di riferimento per la civitas di Milano- la comunità dei cittadini".

Se le affidassero l’incarico di intervenire su piazza Duomo, senza limiti e regole, come sarebbe il progetto?

"A questo proposito mi viene in mente un’idea che avevamo lanciato qualche anno fa insieme a Italo Rota: ’Copriremmo la piazza con una lacrima d’acqua, per nascondere quella pavimentazione sconnessa e datata e produrre riflessi che ci costringano sempre ad alzare gli occhi verso il Duomo e il cielo’"