Laboratorio San Siro: "Ricerca sul campo e no a classi-ghetto: siamo internazionali"

Zecca (Bicocca): superare la visione assistenzialista e puntare su innovazione. Il caso della scuola Paravia e le sperimentazioni insieme agli insegnanti.

Laboratorio San Siro: "Ricerca sul campo e no a classi-ghetto: siamo internazionali"

Zecca (Bicocca): superare la visione assistenzialista e puntare su innovazione. Il caso della scuola Paravia e le sperimentazioni insieme agli insegnanti.

"Cambiamo punto di vista: valorizziamo l’internazionalità delle scuole e il multilinguismo e incentiviamo la ricerca sul campo con gli insegnanti". Luisa Zecca, pedagogista dell’università di Milano-Bicocca, è nel team di ricerca che sta seguendo le sperimentazioni didattiche dell’istituto comprensivo Calasanzio di San Siro, uno dei più multiculturali della città dove in una delle primarie - la Radice di via Paravia - la percentuali di alunni di origini straniere (ma nati in Italia) ha raggiunto il 100%. Qui è stato introdotto il metodo Pizzigoni che sta raccogliendo buoni risultati, ma anche per gli altri plessi è stato stilato un accordo non solo per colmare divari ma per valorizzare le realtà presenti.

Quali sono le sperimentazioni in corso?

"Una riguarda la pedagogia del translanguaging: si valorizzano le lingue madri presenti in una classe allo scopo di imparare la lingua italiana attraverso un metodo comparativo. L’apprendimento dell’italiano come seconda lingua è legato alla motivazione e connesso alle lingue che già conosciamo. E questo metodo consente non solo di impararne altre ma di valorizzare le proprie culture identitarie. Molti bambini qui sono di seconda o addirittura terza generazione, hanno un’identità multiculturale. Tutte le nostre azioni-ricerca vengono svolte con gli insegnanti e prevedono momenti di formazione. E questo porta con sé l’introduzione di metodi diversi e di una didattica più sperimentale".

Per esempio?

"Dall’anno prossimo, nell’ambito dei progetti Musa (l’ecosistema della ricerca Multilayered Urban Sustainability Action avviato a Milano tra università, ndr) avvieremo un’altra sperimentazione: la presenza di un educatore fisso, con competenze professionali complementari a quelle degli insegnanti con i quali proveremo a costruire un curricolo con argomenti interdisciplinari e una metodologia ancora più laboratoriale. Si sta sviluppando poi un progetto di ricerca internazionale sul tema dell’apprendimento in classi dove sono presenti situazioni multi-problematiche e di potenziale svantaggio socio-culturale. Si costruirà un percorso con gli insegnanti con più integrazione tra le materie, metodologie più attive e si punterà sulla valutazione formativa, non solo sui voti. Alcuni dei nostri studenti svolgono le loro tesi di laurea alla primaria, ed è un altro modo interessante per portare innovazione e avere un rapporto continuo con gli insegnanti".

E oltre l’orario scolastico?

"Anche nel Nil (Nucleo di identità locale, ndr) di San Siro è attiva la rete QuBì contro la povertà educativa, con orari organizzati da enti del terzo settore e supportati anche dall’università. Stiamo sperimentando un progetto per creare collegamenti più stretti tra extra-scuola, scuola e famiglia anche con la presenza di mediatori. Abbiamo uno spazio sperimentale anche per i bimbi più piccoli, della fascia 0-6. La loro presenza nei servizi dell’infanzia è importante anche per la coesione sociale e li aiuta nella socializzazione e nello sviluppo di competenze future. C’è anche un progetto del Comune “Polo Start“ per l’insegnamento dell’italiano e la mediazione linguistica".

Cosa invece preoccupa ancora?

"Se da un lato la ricchezza di questi quartieri è proprio la multiculturalità, dall’altro c’è un rischio di segregazione scolastica. Spesso le famiglie decidono di non iscrivere i loro figli nelle scuole di bacino dove c’è un’alta presenza di residenti di origini non italiane, scelta che fanno anche alcune famiglie con background migratorio. La questione è più complessa di quello che sembra. E la segregazione a volte è interna alle scuole stesse, legata alle sezioni".

Come evitarla?

"Puntando sulla qualità dell’offerta formativa, come si è fatto per esempio alle medie Calasanzio, con l’indirizzo musicale o il potenziamento Stem. Così è cambiata la reputazione di molte scuole. In alcuni casi la cooperazione tra dirigenti scolastici ha regolamentato la distribuzione delle iscrizioni. In alcuni Municipi ci sono esempi virtuosi, ma serve una regia più forte dentro e fuori la scuola e un maggiore coordinamento tra le istituzioni per evitare la frammentarietà. È sbagliato legare il tema dell’interculturalità a quello della povertà educativa, non è necessariamente così. Abbiamo situazioni molto diverse tra loro, bimbi che sono già perfettamente bilingui e trilingui, ma finché avremo una visione assistenziale non andremo da nessuna parte. È tempo di parlare di scuole internazionali".

Come in università.

"Appunto. È vero che la situazione è complessa e ci sono situazioni di marginalità, ma è il contesto a diventare sfidante e a rendere le persone più o meno in condizione di fragilità di quello che sarebbero. Calasanzio è un bell’esempio, grazie a una preside e a insegnanti che hanno creduto molto nella sperimentazione e nella ricerca sul campo insieme a operatori e famiglie".

Simona Ballatore