Emilio
Magni
Un lettore abituale di questa rubrica mi ha chiesto lumi sul termine dialettale "siringa", omonimo dell’italiano "siringa" da tutti conosciuto come attrezzo utile per fare le iniezioni. Il dialetto milanese la adoperava qualche volta, raramente però, per indicare tutt’altra cosa, ovvero la morte, o in alcuni casi per il ricordo della morte. E’ stato pure in voga il verbo "siringà", che voleva dire sconfiggere, o addirittura uccidere qualcuno. Si diceva: "L’hann siringà", che significava: "L’hanno fatto fuori". "L’hann mazzà". Ecco quindi che siamo sempre nel campo della morte, del delitto e via dicendo. Sulle ali di queste ricostruzioni di termini ormai completamente scomparsi "el Luis de Melz" ha scoperto che il poeta dialettale milanese dell’Ottocento Antonio Picozzi, in alcuni suoi sonetti, in particolare in quello dal titolo "L’apparizion del Porta" (omaggio al grande poeta Carlo Porta) adopera "siringa" per indicare il testo da redigere per ricordare un grande personaggio che se n’è andato. In altre parole un tempo "siringa" era quell’articolo che nel gergo giornalistico, come tutti i colleghi sanno, è il "coccodrillo": l’articolo per ricordare un morto importante. A proposito di "siringa" mi è tornato mi sono ricordato del Bonetti, anziano e valoroso capocronista quando io ero alle prime armi con il giornalismo. Anche se era maestro nella nostra lingua, Bonetti dialogava sempre in dialetto e per questo era assai amato dagli operai della tipografia. Gli articoli che lui inviava ai tipografi erano sempre i primi a diventare piombo. Mi pare di ricordarmi che una volta, o forse addirittura in più occasioni, Bonetti mi ordinò: "Ue bocia, varda che te de fa la siringa del…". Seguiva il nome di un grosso personaggio che ci aveva lasciato. Capivo benissimo il dialetto, pure lo parlavo, però quella volta lì la "siringa" pretesa dal capocronista mi lasciò di stucco. Lui capì subito e corredò l’ordine con un: "Varda te de minga fa puntur, la siringa l’è el cuccudrill".