SIMONA BALLATORE
Cronaca

La sfida estrema di Nati: "Così si potrà osservare la luce che ci racconta com’è nato l’universo"

Costellazioni artificiali e telescopi in volo in Antartide e nel deserto di Atacama. Premio da 2,5 milioni all’astrofisico di Bicocca per indagare gli albori del cosmo.

La sfida estrema di Nati: "Così si potrà osservare la luce che ci racconta com’è nato l’universo"

La sfida estrema di Nati: "Così si potrà osservare la luce che ci racconta com’è nato l’universo"

Costruisce telescopi sensibilissimi per esplorare il cosmo e le sue origini, testandoli negli ambienti più estremi, dalla base di McMurdo in Antartide al deserto di Atacama in Cile, a 5.200 metri di quota. Avventure che Federico Nati, astrofisico sperimentale, divulgatore e docente, ha raccontato anche ne “L’esperienza del cielo. Diario di un astrofisico“. Dopo studi e ricerche che lo hanno portato da La Sapienza di Roma all’University of Pennsylvania, passando per il Cile, da cinque anni è approdato all’Università di Milano-Bicocca. Ed è da qui che parte la sua nuova e ambiziosissima sfida, forte di un Erc Advanced Grant da 2 milioni e 400mila euro per sviluppare il suo progetto “Polocalc“: escogitare il modo di "osservare una luce, la radiazione cosmica di fondo, una radiazione ’fossile’ che proviene dagli albori dell’universo".

Professor Nati, da dove si comincia?

"Da due esperienze - una nel deserto di Atacama e una in Antartide - e da un problema. I telescopi sono sempre più sensibili, ma immaginiamo di avere un metro a nastro: le tacche sono sempre più fitte e precise, ti permettono di passare dai millimetri alle decine di millimetro e oltre, ma c’è il problema dello zero: lì lo strumento non ha la stessa precisione e accuratezza. In Antartide porto avanti un esperimento, con un telescopio che vola su un pallone stratosferico, dotato di sensori che monitorano l’assetto in volo. I telescopi a terra hanno bisogno di essere calibrati ma mancano dei segnali astrofisici naturali, delle sorgenti di luce che possano essere utilizzate per la calibrazione".

Che fare quindi?

"Ho pensato di metterle io, artificialmente, attaccando delle apparecchiature su droni e palloni aerostatici che possano volare insieme: così creiamo sorgenti celesti artificiali, che saranno dotate di sensori simili a quelli usati in Antartide. Uniamo le diverse tecnologie per fare fronte a un problema che sembra un discorso tecnico, ma è il vero nodo della Cosmologia: la calibrazione delle misure. Ho proposto alla Comunità Europea di finanziare questo Erc, perché promuove metodi visionari in rottura con il passato, per cercare risposte a grandi domande ancora aperte per le quali le tecniche

tradizionali non bastano".

Sfida accolta, con 2,5 milioni di euro. Cosa succederà?

"Il progetto durerà cinque anni: in Bicocca costruiremo le apparecchiature. Abbiamo un laboratorio sperimentale avanzatissimo per le misure cosmologiche. Poi ci recheremo con diverse missioni nel deserto di Atacama, a 5.200 metri, con bombole d’ossigeno e apparecchiature, in un luogo arido, isolato e ostile. Ma per osservare il cielo è uno dei luoghi migliori al mondo, se non il migliore. La tecnologia dovrà essere raffinatissima: è una ricerca ad altissimo rischio, ma anche ad altissimo ritorno".

Cosa si potrà riuscire a osservare?

"In Cile è in costruzione il Simons Observatory, con telescopi che entreranno in funzione per guardare e misurare la radiazione cosmica di fondo. Con i nostri strumenti formiamo una scala e una calibrazione per rendere possibile la scoperta di segnali debolissimi, altrimenti impossibili da osservare, che ci raccontano com’è nato l’universo. E si potrà osservare anche l’eventuale interazione tra questa luce, che arriva dagli albori, e le componenti oscure del cosmo, la cosiddetta materia oscura che, non interagendo con la luce, è invisibile".

Avete già fatto una prova?

"Grazie a un progetto Marie Curie vinto insieme a un giovane ricercatore di Bicocca e mio collaboratore, Gabriele Coppi, abbiamo testato sul posto un prototipo per verificare la fattibilità e le potenzialità di questo progetto. Insieme a me adesso lavoreranno tre ricercatori che assumeremo e tre dottorandi".

Il fascino e la fatica di lavorare in ambienti così estremi?

"In alta quota in Atacama la mancanza di ossigeno, l’isolamento, oltre al freddo da cui ci si riesce meglio a proteggere, mettono a dura prova. Bisogna stare molto attenti, prevedere tutto quello che può succedere. Ma la natura lì è maestosa, i cieli sono affascinanti anche a occhio nudo. Paesaggi mozzafiato

e cieli stellati, paragonabili solo all’Antartide, dove sei tra la calotta antartica, il mare ghiacciato e i vulcani che fumano: visioni che è impossibile descrivere".