La patologia non ha età né genere: "Ogni anno, 300 nuovi arrivi"

Aumento del 40% dei casi di disturbi alimentari durante la pandemia. La direttrice del Centro disturbi nutrizione di Milano sottolinea l'importanza della consapevolezza familiare e dell'accesso ai servizi di supporto.

La patologia non ha età né genere: "Ogni anno, 300 nuovi arrivi"

La patologia non ha età né genere: "Ogni anno, 300 nuovi arrivi"

"La difficoltà più grande resta quella di far prendere consapevolezza alle famiglie: far sì che non sottovalutino il problema di ragazze e ragazzi. Che ai primi segnali chiedano aiuto, senza provare vergogna". A parlare è Sara Bertelli, direttrice del Centro disturbi nutrizione e alimentazione dell’Asst Santi Carlo e Paolo e fondatrice di Nutrimente Onlus, associazione per la prevenzione e la conoscenza dei disturbi del comportamento alimentare.

Dottoressa, nel periodo Covid erano cresciuti gli accessi al vostro centro. Ora quali sono i numeri?

"Rispetto al periodo pre pandemia sono rimasti più alti, del 40% in più, non solo nel nostro centro ma a livello nazionale. Al San Paolo noi accogliamo quasi 300 persone all’anno per la prima visita (erano la metà nel 2019), che si aggiungono ai pazienti già in cura".

La prima difficoltà, diceva, è far prendere consapevolezza alle famiglie. E poi?

"Una volta che una persona sceglie di farsi aiutare, si presenta il problema delle liste d’attesa. I posti non sono sufficienti nel pubblico e quindi c’è una deviazione verso il privato".

Si è abbassata l’età di chi soffre di disturbi alimentari?

"La fascia maggiormente colpita è certamente quella adolescenziale, con pazienti che hanno soprattutto 16 e 17 anni. Ma c’è anche chi soffre di disturbi alimentari gravi già a 11 o 12 anni (ed è il picco più basso), e tra gli adulti. In maggioranza sono ragazze ma ci sono anche maschi, perché questa patologia non è un problema di genere. Anzi, i maschi (e chi gli sta intorno) fanno più fatica a riconoscerlo perché c’è un pregiudizio".

Come aiutare chi soffre di disturbi alimentari?

"Ci vuole ascolto e fiducia, non giudicare mai. Soprattutto, indirizzare verso professionisti. Chi si rivolge al centro del San Paolo intraprende un percorso mettendosi nelle mani di medici di diversi ambiti, che lavorano in sinergia e non solo con il paziente ma anche coinvolgendo la sua famiglia".

Durante il periodo Covid, in videochiamata, c’era chi non riusciva a guardarsi nel piccolo riquadro sullo schermo. È ancora così?

"Il problema non è lo schermo ma è il guardare se stessi. Questi occhi non reggono l’immagine di sé. Accettarsi, riconoscersi, è il traguardo da raggiungere. Il peso poi viene di conseguenza".

Marianna Vazzana