La par condicio e i suoi limiti: ignora la Rete

Ruben

Razzante

La prima campagna elettorale sotto l’ombrellone della storia d’Italia vede protagonisti i mezzi d’informazione. Durante le vacanze estive si tende a stare meno in casa, i televisori sono spesso spenti ma imperversano più che mai il web e i social. La comunicazione politica di queste settimane che precedono il voto del 25 settembre è disciplinata, per quanto riguarda l’emittenza radiotelevisiva, dalla legge sulla par condicio, emanata nel 2000 per garantire parità di spazi di propaganda a tutte le forze in campo. Tribune politiche, dibattiti, tavole rotonde, programmi, interviste e contenitori vari devono ispirarsi a equilibrio nell’esposizione di opinioni e posizioni, anche attraverso l’applicazione di rigorosi criteri di misurazione quantitativa degli spazi di La legge sulla par condicio vieta inoltre alle pubbliche amministrazioni, nel periodo che va dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto, di svolgere attività di comunicazione, a meno che non si tratti di messaggi impersonali e neutrali, indispensabili per l’efficace svolgimento delle attività di pubblica utilità. Per semplificare, un sindaco non può utilizzare il suo ufficio stampa e i canali istituzionali per fare propaganda a un candidato al Parlamento. Si tratta di regole di per sé corrette ma che si scontrano con un limite: gran parte della pubblicità elettorale passa ormai dalla Rete. I profili social dei politici sono pieni di proclami, promesse, appelli, che ricadono nel generico esercizio della libertà d’espressione e non sono sottoposti a controlli di alcun tipo, neppure il giorno del voto. Tutto questo finisce per falsare la competizione e conferma l’anacronismo della legge sulla par condicio, che tutte le forze politiche, nella prossima legislatura, dovrebbero prendere l’impegno di modificare e adeguare al nuovo contesto multimediale. *Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica

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