SIMONA BALLATORE
Cronaca

La città dove oltre il 70% è cemento "Mappiamo gli edifici senza tutele ma che non possiamo perdere"

Gli esperti del Politecnico: "Milano faccia scuola, urge un censimento. Noi pronti a fare la nostra parte"

La città dove oltre il 70% è cemento  "Mappiamo gli edifici senza tutele  ma che non possiamo perdere"
La città dove oltre il 70% è cemento "Mappiamo gli edifici senza tutele ma che non possiamo perdere"

di Simona Ballatore

Si parte da un dato di fatto: "Superiamo la soglia del 70% di aree urbanizzate. Milano ha una dimensione più piccola rispetto ad altre città come Roma: 181 chilometri quadrati, ma molto cementificati. È una caratteristica dalla quale non possiamo prescindere", così Laura Pogliani, professoressa di Urbanistica al Politecnico di Milano, inquadra la città, le sue evoluzioni storiche e le prospettive: "Costruire sul costruito è l’impegno, evitando di estendere ulteriormente l’edificato". Ci sono aree industriali dismesse, palazzine che cambiano vocazione. "Rigenerare il patrimonio vuol dire adattarsi alle nuove performance energetiche e ambientali, ma non può essere continuamente un demolire e un ricostruire – sottolinea Pogliani –: bisogna sapere distinguere e capire su cosa e come andiamo a interferire per non cancellare non solo la memoria della città, che ha un profilo che evolve continuamente, ma l’impronta di Milano e del suo modo di abitare".

A riaccendere il dibattito è stato il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi, che ha parlato di "progetto criminale" per costruire "scatole con l’aria condizionata" chiedendo conto alla Soprintendenza riguardo alla demolizione della villa neomedievale della Maggiolina e per altri edifici a rischio, anche privati. Al di là delle polemiche, "serve una pianificazione, serve una mappa": sottolineano dal Politecnico "per riuscire a distinguere nel dettaglio la qualità del costruito, attribuire il giusto valore e orientare il tipo di trasformazione".

C’è un censimento del dismesso, da aggiornare. Si sa quali sono gli edifici vincolati, ma ci sono "una serie di edifici che non hanno questo eccezionale valore architettonico ma non possono essere trascurati, altrimenti cancelliamo la memoria", continua Pogliani. "C’è il tema delicato degli edifici privati sui quali è più difficile ma non impossibile trovare regole adatte – prosegue la docente – e ci sono parecchi edifici anche degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta che rischiano di essere minacciati da interventi pesanti. Occorre conoscere, fare una catalogazione di questa fascia intermedia tra gli edifici di pregio già tutelati e l’edilizia “minore“, concordando insieme regole per evitare interventi contraddittori. Serve un’indagine, occorrono tempo e risorse, ma una città arrivata a questo punto del suo sviluppo deve essere consapevole del paesaggio urbano, di quello che ha e di come rigenerare". Coglie la sfida anche Davide Del Curto, professore di Restauro: "Il sottosegretario Vittorio Sgarbi ha parlato di ‘cupio dissolvi’: è una fragilità del nostro territorio che non nasce oggi, da sempre c’è la spinta verso la modernità e i valori di rendita spingono a una sistematica sostituzione del patrimonio. Dall’800, dal periodo post-unitario e post-bellico, Milano cambia faccia: non è più la città d’acqua, non è la prima volta che tendiamo a sostituire anziché conservare. Ma c’è un aspetto nuovo: per la prima volta c’è una proposta opportuna, avanzata dalla soprintendente Emanuela Carpani, di collaborazione istituzionale tra ministero della Cultura, Comune, Città Metropolitana e Regione per preparare una mappa degli edifici che hanno un interesse anche se sono fuori dall’ombrello protettivo della tutela".

Qualche tentativo di estendere la “Carta del Rischio” c’è già: Lombardiabeniculturali è un primo esperimento per censire questi edifici. "Io sono d’accordo – conclude Del Curto –: parliamone. Il dipartimento di Architettura e Studi urbani è pronto a mettere a disposizione competenze e a fare la sua parte. Il caso Milano potrebbe fare scuola a livello nazionale".