REDAZIONE MILANO

Appalti e infiltrazioni, imprenditori legati a doppio filo alla cosca dei Laudani

Le motivazoni delle condanne sulle infiltrazioni nei supermrcati Lidl e nella security del Tribunale di Milano

Il tribunale di Milano

Milano, 28 febbraio 2019 - Era una «organizzazione criminale 'di impresa' legata a doppio filo alla famiglia mafiosa Laudani» quella «governata», tra gli altri, dall'imprenditore Alessandro Fazio, titolare assieme al fratello Nicola della Securpolice, il consorzio di società ora commissariato responsabile della vigilanza anche per il Palazzo di giustizia milanese, e tra i «più importanti fornitori» di Lidl in Italia.

Lo si legge nelle motivazioni della sentenza con cui la settima sezione penale del Tribunale di Milano, lo scorso novembre ha condannato a pene fino a 16 anni e 4 mesi di carcere, 7 degli 8 imputati nel processo con al centro un filone dell'indagine della Dda su presunte infiltrazioni del clan catanese negli appalti della catena di supermercati tedesca e in quelli relativi alla sicurezza e alla logistica. Per i giudici, oltre ad Alessandro Fazio, tra i promotori dell'associazione c'è anche «il trio» composto da Luigi Alecci Luigi, l'imprenditore al quale è stata inflitta la condanna più alta, Emanuele Micelotta e Politi Giacomo (entrambi hanno preso 7 anni di reclusione), ai quali faceva «capo la gestione delle società del gruppo Sigi» ridotto «in condizioni di difficoltà finanziaria» per via «di un'opera di cosciente spoliazione», consistita anche in «prelievi» di somme «destinate» ai Laudani.

Per i giudici l'«organizzazione criminale 'di impresa'» si sarebbe dedicata «sistematicamente alla commissione di reati tributari oltre che a fatti di corruzione nei confronti di soggetti pubblici e privati - si legge nell'atto - e costituita da un giro di società intestate a prestanomi che venivano periodicamente create e poi poste in liquidazione (...) dopo essere state spogliate di ogni bene». Il collegio nelle motivazioni, nel mettere a fuoco le posizioni dei singoli imputati, spiega che, a differenza di quello che è stato ricostruito nel corso delle indagini, gli imprenditori Alessandro e Nicola Fazio, condannati rispettivamente a 8 anni e 6 mesi e a 5 anni e 6 mesi, avevano lo stesso «peso» all'interno del gruppo. «Sebbene a Nicola Fazio venga contestato il solo ruolo di partecipe dell'associazione - è scritto nell'atto - tale imputato avrebbe dovuto, in realtà, essere inquadrato come capo del gruppo criminale, al pari del fratello Alessandro»: si tratta di «un ex carabiniere», pure lui con un ruolo di «figura centrale nell'associazione a delinquere», tant'è che era «in rapporti di affari ed in contatto costante con il pluripregiudicato» Alecci, «esponente di spicco della famiglia Laudani nel territorio lombardo». Non è casuale, sottolineano i giudici, che lo stesso Alecci, uomo che «ha praticamente votato la propria intera esistenza al crimine», si rivolgesse «sistematicamente» a Nicola Fazio «per sollecitare le dazioni di denaro al clan Laudani da parte di Alessandro Fazio».