Milano, 30 settembre 2024 – L’esame del sangue dà la certezza dell’alterazione al volante di una persona che ha assunto droga. Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza con cui ha respinto il ricorso di una trentottenne monzese che quattro anni e mezzo fa provocò un grave incidente stradale in viale Abruzzi.
La sentenza
Stando a quanto ricostruito nelle motivazioni, la mattina del 3 febbraio 2019, l’auto guidata dalla donna travolse un pedone che stava attraversando sulle strisce pedonali, a due passi dall’incrocio con via Amedeo d’Aosta. Il test ematochimico, effettuato alle 15.58 dello stesso giorno, rilevò un valore di 15 nanogrammi di cocaina in circolo per millilitro di sangue, a fronte di un valore-soglia fissato a 10 nanogrammi.
Il Codice della strada
Da qui la contestazione della guida in stato di alterazione psicofisica per uso di sostanze stupefacenti, come previsto dall’articolo 187 del Codice della strada: la norma prevede un’ammenda da 1.500 a 6mila euro e l’arresto da sei mesi a un anno, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente da uno a due anni.
Se il trasgressore ha pure provocato un incidente, come nel caso della trentottenne, le pene vanno raddoppiate. I giudici di merito hanno riconosciuto l’alterazione al momento dello scontro, ma la donna si è rivolta alla Suprema Corte per chiedere l’annullamento del verdetto emesso dalla Corte d’Appello di Milano lo scorso 19 gennaio.
Gli ermellini sono partiti da una premessa: la condotta del reato previsto dall’articolo 187 “non è quella di chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, bensì quella di colui che guida in stato di alterazione psicofisica determinato da tale assunzione”.
Tradotto: perché possa affermarsi la responsabilità del conducente, “non è sufficiente provare che precedentemente al momento in cui lo stesso si è posto alla guida egli abbia assunto stupefacenti, ma altresì che egli guidava in stato d’alterazione causato da tale assunzione”. Detto questo, la Cassazione ha fatto una distinzione tra i vari tipi di esami, seguendo un recente orientamento giurisprudenziale (dal 2019 in avanti) che si va consolidando: “Mentre gli accertamenti su campioni piliferi e sulle urine hanno un’affidabilità limitata perché rilevano tracce di sostanze stupefacenti che restano depositate in tessuti e organi anche per un periodo di tempo prolungato, gli esami ematici hanno un’affidabilità di gran lunga maggiore, rilevando la presenza di sostanze tossiche che, al momento dell’accertamento, per il fatto di essere in circolazione nel sangue, sono inevitabilmente destinate a raggiungere il cervello e il sistema nervoso e, proprio per questo, sono suscettibili di alterare lo stato cognitivo e i riflessi del soggetto”.
Per i giudici, è il caso dell’investitrice di viale Abruzzi: considerato che l’esame è stato effettuato alle 15.58 e che la cocaina rimane in circolo per 12 ore dopo l’assunzione, la donna avrebbe sniffato “al più alle 4 del mattino dello stesso 3 febbraio 2019”, e non, come ha assicurato lei, un altro giorno.
Non basta. Per la Corte, lo stato di alterazione è provato pure dalle modalità dell’incidente: il pedone fu travolto al centro della carreggiata, “in condizioni di ottima visibilità e traffico scarso”, come certificato dalle immagini registrate dalla telecamera di un supermercato; senza contare che un testimone dichiarò ai ghisa “di non aver sentito alcun rumore di frenata prima del rumore dovuto all’impatto”. Conclusione: ricorso inammissibile.