In fuga dai fascisti : "Io, nascosta per due anni. La mia storia di bambina"

Adriana Giussani Kleinfeld, figlia di mamma ebrea, è dovuta scappare nel ’43. Aveva 6 anni. "Il 25 aprile i miei genitori ballavano". Il racconto in un libro.

In fuga dai fascisti : "Io, nascosta per due anni. La mia storia di bambina"

In fuga dai fascisti : "Io, nascosta per due anni. La mia storia di bambina"

di Marianna Vazzana

"A casa mi chiamavo Bibò. Avevo 6 anni e abitavo in viale Romagna, al 53. Ho ricordi precisi: vivevo con la mamma e una sorellina di quattro. Al settimo piano". Nelle orecchie Adriana Giussani Kleinefeld ha ancora i bombardamenti del 1943 che avevano ridotto in briciole i vetri delle finestre. Il rumore dei passi per correre nel rifugio. Quelle “r“ di troppo di chi diceva "maledetti ebrrrei". Lei, figlia di mamma ebrea e papà cattolico, non capiva. Finché un giorno la mamma prese lei e la sorellina per scappare. "Faccia presto signora, prima che si sparga la voce", le disse la portinaia. "Perché i fascisti erano venuti a cercarci". E sono rimaste nascoste per due anni, in più luoghi Lontano da Milano. Una storia che Adriana Giussani Kleinfeld, che compirà 87 anni domenica, racconta in un libro: “Ebrrrea. Una storia bambina“, edito da Anpi. Ha lavorato per 40 anni nel campo dell’editoria, è madre di tre figli e nonna di due nipoti.

Come mai ha scelto di raccontare la sua storia, oggi?

"Non è stato facile scriverla, perché ci sono tanti momenti dolorosi. Mi ha spronato lo storico Bruno Maida, che approfondisce la storia dal punto di vista dei bambini. Lo ringrazio, perché ora la mia storia è di tutti".

Qual è stato il primo nascondiglio?

"Un minuscolo appartamento sopra una trattoria a Treviso. Avevamo raggiunto papà, che lavorava nella caserma locale (lui ci aveva lasciate nel ’40, allo scoppio della guerra). Finalmente ci eravamo ricongiunti: io, la mamma (Clelia Varios), papà Bruno, la mia sorellina Clara detta Claretta, non certo per “simpatia“ verso Claretta Petacci, visto che i miei genitori erano antifascisti".

E poi?

"Dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43 siamo dovute scappare ancora. Il papà, con abiti civili, fuggì per i campi. Lo rividi solo una volta finita la guerra. La mamma prese me e Clara e ci portò a Firenze, la sua città. Lì abbiamo vissuto in un sottotetto, a casa di parenti. Una mattina ci svegliammo e non c’era più nessuno. Una parte della famiglia aveva trovato ospitalità in Umbria. Due miei cugini furono fucilati. Noi tre in un piccolo convento di suore francescane in via Borgo Ognissanti. Poi iniziò la parte più dolorosa...".

Perché?

"Perché io e Claretta siamo state separate dalla mamma e portate in un altro convento, con 10 orfanelle, a Mercatale in Val di Pesa (vicino Firenze), perché fossimo più al sicuro. Io ero disperata, volevo la mia mamma. Ricordo però con affetto suor Annamaria Cavallari: una donna dolcissima, che salvò tanti bambini ebrei. Alla fine del 1944 la mamma tornò da noi, vestita da suora, per sicurezza. Quando tornammo a Milano, la guerra non era ancora finita. La nostra casa era occupata e ci rifugiammo a casa di amici in via Vanvitelli. La mamma usciva solo per prendere da mangiare, con un’unica tessera per il cibo razionato (e noi eravamo in tre)".

Cosa ricorda del 25 aprile 1945?

"I miei genitori che ballavano. Le feste nei cortili, che io e mia sorella guardavamo dall’alto, dalla finestra. Finalmente, a settembre di quell’anno andai a scuola. Avevo 8 anni. Ma dai nonni e dalle suore avevo imparato a scrivere e andai direttamente in terza elementare".

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