Il nuovo corso e la rivolta: "Ci diamo tutti malati. Non siamo più protetti"

Gli agenti cercavano appoggi sindacali: il vecchio comandante ci salvava. Dagli incendi alla fuga di Natale, i problemi irrisolti di una struttura che scoppia. .

Il nuovo corso e la rivolta: "Ci diamo tutti malati. Non siamo più protetti"

Il nuovo corso e la rivolta: "Ci diamo tutti malati. Non siamo più protetti"

Gli agenti indagati per le presunte torture al Beccaria avevano organizzato una "malattia di massa", come forma di protesta per manifestare "solidarietà a un collega denunciato" dall’autista della nuova comandante della Polizia penitenziaria nel carcere minorile "che lo aveva visto picchiare un detenuto". Cercavano appoggi sindacali, e agli atti c’è anche una telefonata intercettata fra uno degli agenti sospesi dal servizio e il segretario del Sappe, Sindacato Autonomo per la Polizia Penitenziaria, Francesco Pennisi (non indagato). "Tutti i colleghi hanno mandato malattia nel pomeriggio però vogliono mandarla a oltranza – riferiva l’agente – perché il collega l’hanno mandato in Procura, quindi è una protesta verso il comandante nuovo e il direttore". Spiegava che in passato, quando avvenivano simili episodi "spiacevoli", l’ex comandante Francesco Ferone (indagato) li "salvava", mentre la nuova comandante "non guarda in faccia a nessuno, è cambiato dalla A alla Z". E la risposta di Pennisi è emblematica: "Adesso chiamo, faccio chiamare, gli dico di cacciarla via subito (riferendosi alla nuova comandante, ndr) perché qua succede l’inferno".

La preoccupazione degli agenti per il “nuovo corso“, con l’arrivo dell’attuale direttore, Claudio Ferrari, emerge da diverse conversazioni intercettate e riportate nell’ordinanza applicativa di misure cautelari firmata dal gip Stefania Donadeo. Due agenti, intercettati il 9 marzo scorso, esprimevano tutto il loro stupore e disappunto. "Tutte le mazzate che so state date qua (...) non puoi fare una cosa del genere. Io non so il direttore perché si è svegliato in questo modo (...) dice che sta prendendo provvedimenti seri, si sta scaricando le telecamere e tutto (...) tu sei il direttore, tu ci devi proteggere, punto (...) per un marocchino di m... che manco parla l’italiano". Un altro degli arrestati, Giovanni Blandino, sempre il 9 marzo scorso e parlando ancora della possibilità che acquisissero le telecamere, diceva: "però vabbè ... alla fine io lo so com’è che non gli devo lasciare un c.... infatti non ha un segno addosso". Per il gip è "la prova del metodo usato dagli agenti", ossia "picchiare in modo tale da non lasciare il segno" sul corpo delle vittime. "Prima non c’erano le videocamere si trovavano le scuse “sì il ragazzo c’ha aggredito bla bla bla bla bla“ e ma mò non è più come una volta ... mò stanno le telecamere che parlano eh ... e come ca... ti giustifichi mò?", spiegava un agente intercettato.

Conversazione che costituisce, secondo le accuse, anche una "prova della prassi instaurata tra gli agenti di falsificare le relazioni di servizio relative agli interventi violenti ai danni dei detenuti". Relazioni che l’ex comandante Francesco Ferone, secondo l’ordinanza del gip, "ha sempre “sistemato“ in modo da evitare che gli agenti incorressero in responsabilità penali e disciplinari", attestando azioni di contenimento per bloccare ragazzi violenti e aggressivi. Un clima di violenza e sopraffazione "sistematica" in una struttura sovraffollata, con una settantina di detenuti, minorenni o da poco maggiorenni e una cinquantina di agenti in servizio. Struttura teatro di una serie di disordini e incendi dolosi, "rimasta abbandonata per anni senza una direzione", come ha spiegato il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Una delle presunte vittime dei pestaggi e delle torture è, tra l’altro, uno dei ragazzi protagonisti della fuga di Natale nel 2022. Le violenze sul giovane, poi evaso e rintracciato dalle forze dell’ordine assieme agli altri sei, sarebbero avvenute prima dell’evasione e non è escluso che il clima "di tensione" all’interno dell’istituto possa aver avuto un ruolo nella fuga.

I detenuti che hanno denunciato le violenze sono stati trasferiti in altri istituti, proprio per tutelare la loro incolumità. "Hanno capito che io lo scasso direttamente – spiegava uno degli agenti a un collega – qualche sera glielo faccio trovare impiccato se mi rompono i c...". Le indagini hanno documentato, quindi, anche l’organizzazione della protesta contro la nuova direzione, con la “malattia di massa“ per lasciare sguarnito il carcere: "Gli mandiamo tre giorni di malattia tutti quanti, lo facciamo crollare sto carcere se si permettono".

Andrea Gianni

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