MAURIZIO
Cronaca

Il mercato di viale Papiniano, antico ma capace di resistere nel tempo

Il poeta Maurizio Cucchi ritorna al mercato di piazza Sant'Agostino, descrivendo con nostalgia e attenzione le bancarelle, gli alimentari e l'atmosfera autentica del luogo. Si sposta poi al mercato di viale Papiniano, osservando abbigliamento, pellicce e oggetti vari, riflettendo sulla resistenza di questo luogo tradizionale ai cambiamenti del tempo.

Cucchi

Eccomi in piazza Sant’Agostino, per tornare, dopo tempo al gran bel mercato che si svolge in zona. Una pioggerellina intermittente arriva un po’ a disturbare, comunque mi diverto passando nelle bancarelle degli alimentari, dove si assiste alle gentili offerte, spesso proposte a gran voce, dei vari venditori. Un’umanità, se vogliamo, ancora antica, ma indubbiamente autentica. Tanto che anni fa mi era capitato di tesserne le lodi, in versi: "Amo le donne dei banchi al mercato / hanno parole di terra, aspre parole / perdute. Ne osservo le mani / così ruvide e gentili / e i panni"… Non perdo poi l’occasione per procurarmi deliziosi formaggi, soprattutto di capra, l’antica mostarda e un po’ di ravioli di zucca. E c’è anche un gentile giovanotto che ci allieta al suono della sua tromba. A questo punto vengo a trovarmi su una grande via di scorrimento, dove si espande magnifico il mercato: viale Papiniano, ben noto ai milanesi, dedicato a Emilio Paolo Papiniano giureconsulto romano vissuto nel II secolo dopo Cristo. Non so bene, allora, se dirigermi a sinistra, dove il viale sbocca in piazza Cantore, e dunque zona porta Genova, oppure a destra, dove si conclude verso piazza Aquileia. Opto infine per la prima soluzione e mi immetto sereno nella folla che perlustra le varie bancarelle. Osservo, allora, soprattutto, vari capi di abbigliamento spesso ammonticchiati e dunque camicie, giacconi di pelle, indumenti intimi, notevoli pellicce. Cerco senza successo un venditore di cappotti e giacche tirolesi da cui mi servivo un tempo, quando poi ne esibivo i capi acquistati con giusta fierezza. Do un’occhiata a scarpe, oltre a oggettistica di vario tipo, come portafogli e arnesi da cellulare. In fondo, torno a dirmi, è questo un supermarket popolare, antico, eppure capace di resistere ai mutamenti imposti dal tempo. Arrivo in piazza Cantore, dove si impone alla vista del passante il gran palazzo con la scritta del Coin. E torno così a un pieno presente a cui del resto appartengo.