NICOLA PALMA
Cronaca

Il giudice vicino ai clan deve risarcire

Al Ministero 52mila euro per il danno d’immagine procurato da Vincenzo Giglio. I legami con i Lampada

di Nicola Palma

Fu un arresto choc. All’alba del 30 novembre 2011, gli agenti della Squadra mobile di Milano misero le manette ai polsi di Vincenzo Giuseppe Giglio, all’epoca cinquantunenne, presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria. Esponente di spicco della corrente "Magistratura democratica" e docente universitario all’Università Mediterranea, fu accusato dal procuratore aggiunto della Dda Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Paolo Storari di essersi "messo a disposizione" (come poi messo nero su bianco dalle sentenze passate in giudicato) degli esponenti del clan Valle-Lampada, fornendo loro informazioni riservate su indagini in corso da parte dei suoi colleghi.

Di più: nel mirino dei magistrati finì pure lo scambio di favori che Giglio mise in piedi con il neo consigliere regionale Francesco Morelli (a sua volta in cella per concorso esterno in associazione mafiosa) per ottenere incarichi dirigenziali in campo sanitario per la moglie Alessandra Sarlo. Ne emerse la figura di una sorta di Giano bifronte della giustizia, che da un lato firmava decreti di sequestro per centinaia di milioni di euro contro le cosche e dall’altro dava del “tu“ ai boss trapiantati in Lombardia. Già, proprio del “tu“, come da intercettazione telefonica, agli atti dell’indagine, tra Giglio e Giulio Lampada: "No no no... ci tenevo a farlo io così tra l’altro mi sono fatto dare il tuo numero di cellulare... A te resta il mio... così possiamo sentirci anche direttamente...", la frase del giudice nell’agosto 2009 per stabilire il primo contatto, col cugino medico (e quasi omonimo) Vincenzo Giglio a far da tramite. "Ti ringrazio ancora della disponibilità", la replica di Lampada. "Sono io che ringrazio te", la chiosa. Il 20 ottobre 2015, la Cassazione ha reso definitiva la condanna di Giglio a 4 anni e 5 mesi per corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio e favoreggiamento aggravato per aver agevolato l’attività delle ’ndrine. A poco più di 5 anni dalla conclusione del processo penale, è arrivata la sentenza d’Appello della Corte dei Conti, che ha stabilito quanto l’ex giudice dovrà risarcire al Ministero della Giustizia per il danno d’immagine: 52.794 euro. I giudici di secondo grado hanno sostanzialmente confermato quanto già stabilito nel 2018 dalla sezione giurisdizionale della Calabria, se non per l’ammontare del danno, più che dimezzato rispetto agli iniziali 113.970 euro.

Respinti i motivi di ricorso presentati dai legali di Giglio: "Nella sentenza della Cassazione – si legge nel dispositivo – sono state delineate le condotte incriminate, sia per quanto riguarda la divulgazione di notizie riservate, sia per ciò che attiene al sinallagma corruttivo ascritto al responsabile, in cui nella comunicazione di “notizie riservate utili“ – al coimputato concorrente (Morelli, ndr) – è stata identificata la violazione delle funzioni". E ancora: "Si apprende altresì dalla pronuncia della Corte d’Appello di Milano che nelle azioni integranti il reato di corruzione entra a pieno titolo l’attivazione delle leve politiche in relazione al predetto aspetto professionale del coniuge, che si connota per il comprovato “do ut des“, idoneo a concretizzare la fattispecie incriminatrice".