Il centro d’accoglienza: "Da noi 40 giovani soli. E i minori da salvare sono sempre di più"

Costantina Regazzo, di Arca, spiega che la rotazione è continua. In via Aldini ospitato uno degli aggressori, sparito a settembre. .

Il centro d’accoglienza: "Da noi 40 giovani soli. E i minori da salvare sono sempre di più"

Il centro d’accoglienza: "Da noi 40 giovani soli. E i minori da salvare sono sempre di più"

di Marianna Vazzana

"La nostra è una struttura di prima accoglienza: ospitiamo ragazzi inviati dal Comune che in una seconda fase andranno nelle comunità. Abbiamo 40 posti e la rotazione è continua". Lo spiega Costantina Regazzo, direttrice dei servizi di Fondazione Progetto Arca. Un sedicenne, tra i quattro giovani arrestati ieri per l’aggressione in piazza Gae Aulenti del 2 settembre, la scorsa estate è stato ospite della struttura di via Aldini 74 gestita dalla fondazione. Ma non ha fatto più rientro "e di lui non abbiamo più avuto notizie".

Era un ragazzo problematico?

"Dei 40 ragazzi accolti è difficile trovarne uno che non abbia una storia problematica alle spalle. La maggior parte arriva nelle strutture di prima accoglienza dopo aver vissuto un periodo in strada, e questo perché i minori stranieri non accompagnati sono sempre di più (il Comune di Milano ne ha in carico 1300 – dato dello scorso marzo –, un numero quasi doppio rispetto a due anni fa, ndr). Qualcuno ha già più di una denuncia quando viene accolto da noi. C’è un regolamento da rispettare e noi siamo tenuti a segnalare a Comune e forze dell’ordine le assenze ingiustificate. Cosa che abbiamo sempre fatto, anche in quell’occasione".

Che età hanno i ragazzi e da dove provengono?

"Hanno tra i 14 e i 17 anni, la maggior parte in arrivo dall’Egitto. L’intenzione è che un giovane resti da noi per un mese, prima dell’ingresso in comunità, ma siamo arrivati anche ad accogliere ragazzi per 3 o 4 mesi perché il numero dei minori stranieri non accompagnati è cresciuto moltissimo e di conseguenza è difficile individuare per tutti una sistemazione per la seconda fase di accoglienza".

Qual è la difficoltà più grossa per voi coordinatori e per gli educatori?

"Il fatto che spesso i ragazzi vivono “in branco“ e si muovono in blocco. Purtroppo quando sono in gruppo capita che aggrediscano coetanei, che commettano furti o atti vandalici".

E come intervenite?

"Abbiamo potenziato l’équipe educativa e lavoriamo sempre più in sinergia con la rete territoriale. Nella squadra, oltre agli educatori, ci sono assistenti sociali e mediatori. Ci avvaliamo anche del servizio Uonpia (che si occupa di diagnosi e cura dei disturbi neuropsichiatrici e psicologici dei minori, ndr). In più collaboriamo con associazioni sportive, Imam e oratori. Noi tendiamo a premiare i comportamenti positivi, per esempio dando la possibilità di andare a vedere una partita o un concerto, e a instaurare un rapporto di fiducia con i ragazzi, facendoli sentire parte del quartiere, organizzando attività di utilità sociale come la pulizia dei parchi o la tinteggiatura di aule scolastiche".

E per i casi “difficili“?

"Alla base c’è la cabina di regia del Comune. Insieme valutiamo caso per caso e definiamo il da farsi. Fondamentale è l’aiuto Uonpia, soprattutto se i ragazzi hanno subito maltrattamenti in passato".

Come si svolge una giornata tipo?

"I ragazzi sono accolti h24 e possono uscire, non sono reclusi. Insieme si fa colazione, pranzo e cena. Si fa lezione per imparare la lingua, si fa sport e si mette in ordine l’ambiente. C’è un grande lavoro di rete, l’obiettivo è che dopo la prima accoglienza vengano inseriti nei Sai (Servizi accoglienza immigrati). Spiace sempre se qualcuno nel frattempo si perde, ritrovandosi ancora senza punti di riferimento".