Il Catasto e la casa “bancomat”

Bruno

Villois

Ogni volta che la politica si affaccia sul Fisco per riformarne qualcosa, ecco scattare forme partigiane che ne difendono o attaccano possibili novità, stessa reazione manifestano i sindacati per i lavoratori dipendenti e le categorie datoriali per imprese e autonomi. Adesso il bandolo della matassa è indirizzato alla riforma del Catasto, argomento che innesca i temi dell’evasione ed elusione, imputata totalmente al lavoro autonomo. Nessuno ricorda, o meglio evita di ricordare, che nelle regole per l’ottenimento delle risorse del Pnrr, è contemplata la riforma del Catasto e gli strumenti per la lotta all’evasione. Riordinare il Catasto, o meglio renderlo quel che dovrebbe essere, ovvero un anagrafe degli immobili, del loro valore e di come debbono essere contemplati nell’ampia riforma del l’urbanistica nostrana, ferma anch’essa, a parte a Milano, agli anni anteguerra. Che si voglia ritenere l’attuale valutazione degli immobili inadeguata dal punto di vista tributario è sicuramente vero, va però anche detto che la casa è stata da sempre un bancomat del fisco nostrano e che chiunque abbia acquistato o venduto una casa ha subito salassi tributari pesanti. Se poi aprendo il libro dell’anagrafe immobiliare lo si vuole collegare all’evasione, allora diventa importante ricordare che se è vero che il lavoro autonomo ha le condizioni per evadere o eludere, lo è anche, e forse ancora di più, il diffuso doppio lavoro particolarmente evidente in Italia. Gli insegnanti con le ripetizioni, molte attività professionali svolte dopo, o anche durante il lavoro pubblico, sono quanto mai evidenti e presenti da noi. È sicuramente più difficile che i lavoratori dipendenti che svolgono attività manuali, le effettuino in proprio senza pagare le tasse. Per quanto attiene al lavoro autonomo, oltre all’abusato concetto che la pressione fiscale è troppo elevata, ci sono però costi burocratici pesanti che incrinano la redditività soprattutto delle piccole e micro imprese. Basterebbe eliminare questi balzelli che sovente comprendono anche la necessità di dover ricorrere a professionisti ed esborsare parcelle che arrivano ad incidere sul giro di affari per il 1215%, ovvero la marginalità media che può avere una piccola imprese. La politica sui costi della burocrazia dovrebbe concentrarsi e rimediare.

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