GIULIA BONEZZI
Cronaca

Il raggio protonico all’Ieo nel 2020: bombarderà 800 tumori all’anno

L’Istituto fondato da Umberto Veronesi sarà così il primo Irccs in Italia a dotarsi di Proton Center, potenziando la sua divisione di radioterapia con il raggio di protoni: meno sedute e da due minuti, senza ricovero, senza dolore

Sarà costruita in un’ala del nuovo edificio Ieo 3

Milano, 13 luglio 2017 - Il super raggio bombarderà il cancro anche all’Ieo. Nel 2020 l’Istituto europeo di oncologia avrà, nel terzo e nuovo edificio, un ciclotrone, versione in piccolo dell’acceleratore del Cern di Ginevra, per offrire la terapia con i protoni a 800 nuovi pazienti l’anno. Un investimento di 40 milioni di euro, da sommare ai 20 milioni per costruire l’Ieo 3 che sempre tra tre anni concentrerà nella sede di via Ripamonti il campus con i suoi 400 ricercatori. L’Istituto fondato da Umberto Veronesi sarà così il primo Irccs in Italia a dotarsi di Proton Center, potenziando la sua divisione di radioterapia con il raggio di protoni: meno sedute e da due minuti, senza ricovero, senza dolore. L’adroterapia (con i protoni o gli ioni carbonio) «non è un’alternativa ma un pezzo della radioterapia», spiega il direttore scientifico Roberto Orecchia.

I raggi protonici sono più «pesanti» e potenti di quelli fotonici, ma anche più dosabili e mirati, e permettono di preservare i tessuti davanti, dietro e intorno al tumore. Vanno bene per le neoplasie “difficili” dal punto di vista geometrico (dalla piccola lesione del nervo ottico al grande sarcoma intestinale) e clinico, come quelle di testa e collo. E vanno bene per i bambini, perché evitano o abbassano il rischio di indurre rallentamenti nella crescita e danni agli organi sani, spiega Orecchia, che 25 anni fa era nel gruppo degli «Amaldi Boys» (da Ugo, il fisico) che progettarono il Cnao di Pavia, da 4 anni operativo a pieno regime. Al Centro nazionale di adroterapia i tre quarti dell’attività sono assorbiti dal raggio a ioni carbonio, entrati nella clinica negli anni ’90, mentre i protoni si usano per bombardare i tumori sin dagli anni ’50. Ci sono una sessantina di centri di adroterapia (protoni o ioni carbonio) oggi nel mondo, hanno trattato oltre 150 mila pazienti di cui 130 mila con i protoni, si sono moltiplicati nel nuovo millennio. Gli Usa arriveranno a 40 in un decennio, il Giappone è già a 15, ma ci sono progetti in corso dall’Iran all’Australia, dall’Egitto al Sudamerica. In Europa i centri, a partire dal pioniere di Uppsala dove gli svedesi, insieme ai californiani di Berkeley, iniziarono più di sessant’anni fa, sono 17, di cui sei in Germania.

Altri 11 sono in costruzione, sette in programma tra cui quello dell’Ieo. Che - senza contare il Cnao - avrà il terzo raggio a protoni in Italia, dopo Trento e i Laboratori del Sud dell’Istituto di fisica nucleare a Catania, dove un ciclotrone a bassa energia tratta una trentina di pazienti per il solo melanoma dell’occhio. Non è per tutti i tumori l’adroterapia: l’Ieo calcola che può funzionare sul 20% dei malati che fanno la radioterapia. Ma oggi solo lo 0,8% ha accesso ai protoni; gli altri vanno all’estero, o rinunciano. Il Ministero della Salute nei nuovi Lea (le prestazioni sanitarie da garantire a tutti gli italiani) ha inserito dieci categorie di oncologici che hanno diritto all’adroterapia: circa settemila persone l’anno in Italia, stimano all’Ieo, che vuole incrementare un’offerta molto inferiore alla domanda.

Ma anche contribuire alla ricerca internazionale, esplorando le nuove indicazioni sull’uso del raggio protonico contro i tumori «big killer» (come polmone, fegato, pancreas) o più diffusi come quello della mammella in casi particolari (vicino al cuore, su un seno ricostruito); le interazioni con l’immunoterapia, con i nuovi farmaci. Un’iniziativa «coerente con la nostra mission: offrire le cure migliori, sia innovative che tradizionali, con la miglior tecnologia», sintetizza l’ad Mauro Melis, che al suo insediamento trovò il faldone sul Proton Center, aperto una decina d’anni fa e accantonato perché all’epoca carissimo. Non dal Professore scomparso lo scorso anno, che incrociandolo gli ricordava: «Dobbiamo fare i protoni!»