CHIARA ARCESI
Cronaca

I terzi luoghi (d’incontro), il sociologo Morace: "Diamo spazi al contrasto altrimenti diventa conflitto"

Francesco Morace , che da oltre trent’anni lavora nell’ambito della ricerca sociale e di mercato, parla della nostra società "in metamorfosi turbolenta": "I giovani si appoggiano ai social per esprimersi ma hanno esigenza di fisicità"

Il sociologo Francesco Morace sulla nostra società "in metamorfosi turbolenta" "I giovani si appoggiano ai social per esprimersi ma hanno esigenza di fisicità".

Il sociologo Francesco Morace sulla nostra società "in metamorfosi turbolenta" "I giovani si appoggiano ai social per esprimersi ma hanno esigenza di fisicità".

Milano – "Terzi luoghi" e un viaggio nelle diversità internazionali. È la ricetta per governare la metamorfosi “turbolenta” della società odierna offerta da uno dei più affermati sociologi della nostra epoca: Francesco Morace, che da oltre trent’anni lavora nell’ambito della ricerca sociale e di mercato. In occasione di un talk multidisciplinare organizzato nei giorni scorsi dalla società internazionale di architettura e design “Il Prisma”, che progetta spazi ed esperienze per l’essere umano (“Design Human Life“), il sociologo espone il proprio pensiero propositivo e aperto verso una dimensione internazionale.

Come sta la società di oggi in continua metamorfosi?

"È in continua metamorfosi turbolenta, mi verrebbe da dire. Ma sappiamo anche che dalla turbolenza spesso emerge una nuova pelle. Sicuramente l’elemento chiave è l’essere presente a sé stessi, ognuno di noi più consapevole della propria unicità. Questo può portare anche a grandi conflitti e al fatto che vogliamo tutti sentirci protagonisti. Questo è anche l’effetto dei social".

Come governare questa dimensione?

"Il ripensamento della nostra esistenza può diventare un elemento chiave su cui far ruotare una qualità di vita che oggi tutti ricercano. E la città può essere un grande facilitatore da questo punto di vista, attraverso delle isole in cui le persone possano incontrarsi. Convivialità e riappropriazione degli spazi dal punto di vista della relazione umana sono le parole chiave, soprattutto dopo il Covid. Qualcuno immaginava che l’isolamento diventasse una condizione stabile, in realtà questo non sta avvenendo".

Siamo sicuri? Neanche per i giovani?

"Siamo sicuri dal punto di vista delle esigenze. È chiaro che ci sono condizioni che ne rendono difficile la realizzazione. C’è tutto un mondo giovanile che si appoggia alla dimensione social per esprimere sé stessi, ma che al contempo ha dentro di sé questa grande esigenza di riappropriarsi della fisicità, però è complicato".

Come la progettazione urbana può permettere loro di rispondere a questo loro essenziale bisogno?

"Immaginando spazi che possano facilitare l’incontro, senza indicarne però in maniera esplicita e rigida la direzione".

Certo, non lo desiderano. Così come, in eterno contrasto verso il genitore, le indicazioni non devono essere imperativi.

"Esattamente. Poi attraverso il contrasto si cresce. Il problema è che oggi viviamo in città e società dove il contrasto diventa conflitto, e armato. Quindi bisogna immaginare i cosiddetti “terzi luoghi”, non solo casa, ufficio o scuola, ma quegli interstizi spaziali dove alla fine ci si incontra. Spazi di passaggio, insomma".

Ad esempio?

"Nei condomini, sono i pianerottoli. In genere luoghi di conflitto tra i vicini ma che possono iniziare a diventare luoghi dove incontri persone unitamente alla ricezione di servizi, il servizio lavanderia, per esempio".

Questo negli spazi interni. E all’aperto?

"Tutti quegli spazi che di notte incutono timore perché non illuminati, vanno ripensati e riprogettati dal punto di vista della luce, della dimensione verde e naturale".

Noi italiani, avendo subito tante dominazioni nella storia, abbiamo una relazione con lo spazio pubblico particolare: è lo spazio della politica, non lo sentiamo nostro.

"È proprio così. Il primo passo da fare è dare una dignità allo spazio pubblico, perché poi paradossalmente abbiamo delle case bellissime internamente. È un fatto culturale. In Danimarca, in Canada dove il grande nemico è la luce, gli spazi pubblici sono curatissimi. È anche un tratto di genius loci: abbiamo un talento sullo spazio privato, tanto che il design italiano è il più riconosciuto al mondo, mentre dobbiamo imparare dalle altre culture prendendoci cura dello spazio pubblico. Lo studio “Il Prisma”, ad esempio, ragiona proprio in quest’ottica, unendo idee e visioni internazionali".

Insomma, l’esperienza cosmopolita, il viaggio nella diversità per portare in Italia e a Milano un’apertura.

"Per le nuove generazioni e la società è la grande speranza, forse quasi l’unica".