CLAUDIO
Cronaca

I Radio Days di noi cuccioli di boomer

L'articolo di Claudio Negri racconta con nostalgia i ricordi legati ai Radio Days degli anni '60, con la radio come compagna di vita e fonte di emozioni, musica e notizie.

Negri

Nel 1962 o giù di lì a casa mia c’era già un televisore, ma - valeva per tutti - con un solo canale e solo per uno spicchio di trasmissioni serali. Fugace eccezione ad aprile, quando la Fiera di Milano concedeva il lusso di un matinée, con un film. Vago senso di colpa: il mattino aveva l’oro in bocca e il martello in mano, mica l’ozioso bianco e nero del tubo catodico. Perché quelli erano ancora giorni di radio. I nostri Radio Days. La sigla del principale notiziario, Radio Sera, era ad esempio lo sfondo sonoro della cena: minestrone di verdura, con l’olio che affiorava dal brodo in minute gocciole tonde e lucenti sotto il lampadario della cucina. Mio padre, a volte, appena finito di mangiare poggiava la testa sul braccio e si addormentava a capotavola. Erano anni di matto lavoro. Anni del boom e di cuccioli di boomer. A quattro anni mi ero già fatto un’idea del mondo, sul quale cinguettava imperturbato l’usignolo della Rai nel mezzogiorno della michetta e del Gazzettino Padano: le sirene delle fabbriche del mio borgo cantavano dissonanti la pausa pranzo.

Rivedo i mocassini bianchi di un vecchio zio solitario e bohemien sui generis mentre la radio trasmetteva il cicaleccio dialettale di “A g’ho dù robb de ditt (Ho due cose da dirti)”: la nonna sorrideva e scuoteva il capo. Lei sembrava preferire trasmissioni di stretta liturgia in collegamento con la Radio Vaticana o con gli ospedali di tutta Italia (“Sorella Radio”, i rosari e il vespro quotidiano di “Ascolta, si fa sera”) ma era anche appassionata di operetta. A sedici anni era andata in ghingheri col cavalier servente al vecchio teatro Dal Verme: davano la Vedova Allegra. Mica da tutti. I miei giorni della radio sono durati e perdurano. Specie di notte, quando da stazioni sintonizzate su onde oceaniche mi giungono orchestre in fregola latinoamericana, con sincopati ritmati da Chihuahua al braccio del direttore. E sempre risuona l’ineffabile Bollettino dei Naviganti tra boe di segnalazione spente, là nell’alto mare aperto dove la luna si mostra nuda al marconista del Titanic.

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