I processi lenti, la corruzione che resiste, il protagonismo di certe toghe con animo troppo politico e alla ricerca di facili consensi. Tra denuncia e auto-analisi è questa, in sintesi, la diagnosi firmata dai vertici di Palazzo di Giustizia e illustrata ieri all’inaugurazione del nuovo anno giudiziario in un’aula magna tornata aperta al pubblico. "Lentezza del sistema e presenza di fenomeni corruttivi non possono più essere tollerati, perché offuscano il valore intrinseco della giustizia e favoriscono sia a livello macroeconomico, sia sul piano del comportamento dei cittadini e della società un clima di incertezza e sfiducia" dice il presidente della Corte d’appello di Giuseppe Ondei. Per capirci: in base agli ultimi dati disponibili - relativi al 2018 - la durata media europea di un processo civile di primo grado è di 210 giorni, in Italia 527 (a Milano però 224). Quello penale? Peggio. In Europa 118 giorni di media, in Italia 361 (cioè il triplo), a Milano 326 (considerando il più veloce, quello davanti al gup). "Oggi - spiega Ondei ottimista - è in corso il più grande intervento riformatore della giustizia che si sia avuto nella storia recente del nostro Paese e il Pnrr è un’occasione storica e imperdibile". Finalmente, aggiunge, "le riforme non si basano più sulla assurda filosofia del costo zero ma sono state movimentate ingenti risorse materiali e umane con un piano che ha una carica innovativa". Si calcola che "una riduzione del 50% della durata dei giudizi civili può accrescere la dimensione media delle imprese manifatturiere italiane di circa il 10% e che una riduzione da 9 a 5 anni delle procedure fallimentari può generare un incremento di produttività della nostra economia dell’1,6%". Ondei sottolinea anche che nel Pnrr "un rilievo importante viene dato giustamente all’innovazione e alla informatizzazione del sistema e delle procedure: in un ...
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