
Emilio Alessandrini
Millano, 31 agosto 2018 - La «prima manifestazione di un attacco alla magistratura», volto a colpire personalità riformiste e garantiste, con un’escalation di terrore e di agguati che insanguinarono le strade di Milano. L’omicidio del magistrato Emilio Alessandrini, scrivono i giudici nella sentenza del primo maxi-processo ai vertici di Prima Linea, inaugurò la strategia «attentamente pianificata» da parte del gruppo armato, che alzò il tiro contro le istituzioni. Prima di morire Emilio Alessandrini, magistrato della sezione reati finanziari della Procura di Milano, stava lavorando sul procedimento con al centro il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Aveva indagato sulla strage di piazza Fontana, nelle sue mani erano passate delicate inchieste sull’estremismo politico di diverso colore. Zone d’ombra nella storia d’Italia, che all’epoca portarono a ipotizzare un coinvolgimento dei servizi segreti deviati o altri apparati nella sua morte. L’ipotesi di un’azione «per impedirgli di continuare le indagini sulla strage di piazza Fontana e sull’eventuale coinvolgimento di personaggi politici» viene però respinta fermamente dai giudici nel processo di primo grado, che riconducono l’omicidio all’azione di «una banda autonoma e indipendente da influenze o peggio da comandi di terzi, di apparati nazionali o internazionali». Questo sulla base delle dichiarazioni dell’ex terrorista rosso Marco Donat Cattin, presente al momento dell’agguato e condannato (grazie alla sua collaborazione con gli inquirenti iniziata nel 1979 ottenne la libertà provvisoria).
Personaggio chiave per «ricostruire il modo di pensare e di agire dei comandi di Prima Linea», che in aula chiese perdono ai familiari delle vittime: «Ritengo di aver maturato un distacco profondo rispetto alle idee e alle ideologie che mi hanno sospinto a compiere determinate cose, azioni gravi delle quali ho un rimorso profondo (...) di fronte penso di avere soltanto l’angoscia di un abisso privo di ogni luce». Dichiarazioni negli atti del maxi-processo di primo grado che si celebrò nel 1983 davanti alla Corte d’Assise di Torino. «Il suo racconto ha permesso la ricostruzione dettagliata di come sia nato, si sia sviluppato e realizzato l’attacco alla magistratura - scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza - di cui il delitto Alessandrini ha costituito la prima manifestazione. Il fatto aveva turbato l’opinione pubblica ed erano nate voci fantasiose che attribuivano ai servizi segreti la responsabilità di avere intenzionalmente spinto Prima Linea a uccidere Alessandrini per impedirgli di continuare le indagini sulla strage di piazza Fontana. Si era pensato insomma a complicità nascoste, (...) Donat Cattin ha fugato una volta per tutte queste voci fantasiose e ha contribuito a presentare Prima Linea nelle sue esatte dimensioni e nel contempo ha pure fatto svanire quel clima di sospetti che nuoceva alla situazione politica nazionale». Oltre a Donat Cattin, furono condannati Enrico Baglioni, Alessandro Bruni, Umberto Mazzola, Susanna Ronconi, Roberto Rosso, Bruno Russo Palombi, Sergio Segio e Michele Viscardi, fiancheggiatori e componenti del commando di fuoco Romano Tognini “Valerio” che il 29 gennaio 1979 freddò il magistrato.
Nel volantino di rivendicazione dell’attentato da parte di Prima Linea i terroristi attaccano il «lavoro che ha portato questo magistrato di “sinistra” ad inquisire, incriminare o condannare decine di comunisti». E Alessandrini, scrivono i terroristi, «è uno dei magistrati che maggiormente ha contribuito a rendere efficiente la Procura di Milano». Una personalità riformista da eliminare, come il magistrato Guido Galli, altra vittima di Prima Linea. I suoi studi sulle attività di proselitismo dei terroristi nelle carceri sono ancora attuali, a distanza di quasi 40 anni, con l’emergenza dell’estremismo di matrice islamica. «Dall’istituzione delle carceri speciali l’ordine sembra essere tornato negli istituti di pena - argomentava Alessandrini - ma è anche un dato di fatto che i detenuti prima o poi escono, accentuando la tendenza a diventare delinquenti comuni dopo essere stati politici e a diventare politici dopo essere stati comuni». Ieri Alessandrini è stato commemorato a Pescara, la città dove è cresciuto e dove il figlio Marco è sindaco. «Per decenni c’erano solo i terroristi - ha spiegato Marco Alessandrini - che parlavano ed erano molto visibili. Io ho attraversato il viaggio della memoria, che non finisce mai».