Milano – Una studentessa gli ha strappato il sorriso con un “meme“, un volto vip in lacrime e la scritta: “Tutti noi il 30 ottobre”. “Sono stato sommerso di messaggi. Sarei ipocrita a dire che non mi fa piacere: mi ha commosso. È stato capito il mio modo di fare università, il voler rimettere gli studenti al centro”. È l’ultimo giorno da rettore per Gianni Canova, che lascerà il timone della Iulm a Valentina Garavaglia.
Da domani cosa farà?
“Sono felice di essere un uomo libero. Continuo a insegnare: avrò perso qualche riunione con i rettori in questi sei anni, una lezione mai. Per me è sacra. Tenevo tre corsi insieme perché è la cosa che mi dà più vita, pensiero, sapere, contatto con le nuove generazioni”.
E poi c’è sempre il suo lato “cinemaniaco“, la critica.
“Ma adesso vorrei soprattutto scrivere libri. Ne ho già due in dirittura d’arrivo: un romanzo e una raccolta di racconti. E con IulMovie Lab stiamo realizzando un docufilm su Roberto Vecchioni, uno su Salvatores, un altro sulle chef stellate”.
Uomo libero, ma non troppo.
“Sì, ma per dirla con il professore Marotta, ovvero Silvio Orlando, in Parthenope adesso sono nell’età in cui tutto il resto viene meno e si impara a vedere”.
E cosa vede da lì? Come sono i giovani d’oggi?
“Altro che sdraiati: se lo sono è perché li abbiamo sdraiati noi. Basta stimolarli, farli scontrare con la realtà e non solo camminano, pedalano. Anche la narrazione della “generazione fragile“ va riscritta: ci sono stati ragazzi frastornati dopo il Covid, c’è chi è rimasto segnato. Ma le ultime matricole sono tra le migliori che ho visto: stanno reagendo. Sono ottimista”.
Vanno al cinema?
“I miei studenti tantissimo. Non sono i giovani a mancare nelle sale. Ci vengono per i Trasfomers della Marvel, ma anche Partenophe era pieno di ragazzi”.
Sono interessati alla situazione geopolitica?
“La sentono molto. Vogliono capire, chiedono incontri: ne stiamo organizzando tanti, mai di parte. Sono frequentatissimi. C’è un grosso problema però”.
Quale?
“A scuola non si studia la geografia, come gli ultimi 80 anni della nostra storia. Bisogna dare gli strumenti ai ragazzi: le università devono farsene carico”.
E per l’intelligenza artificiale?
“Serve un’alfabetizzazione. Non va vista come minaccia né come scorciatoia. La tecnologia genera paura, sconcerto, disorientamento. Dobbiamo capire come usare l’AI per potenziare capacità cognitive e creative”.
A Milano aumentano gli iscritti e gli stranieri, ma calano gli studenti da fuori regione. È l’effetto caro-affitti?
“Noi abbiamo storicamente una forte presenza di pugliesi e siciliani. E qualche mail di famiglie in dubbio è arrivata anche a me per questa narrazione sulla “Milano città per ricchi“ ma anche sulla “Milano poco sicura“, che ha lasciato traccia. Anche i milanesi qualche colpa la hanno: troppi contratti sono in nero”.
Che università lascia?
“Ho cercato di valorizzare l’aggettivo che abbiamo nel nome: “Libera“. Libera dalla sudditanza nei confronti della politica - non elemosiniamo fondi - e dei modelli anglosassoni, con un approccio più mediterraneo, legato alle radici, al greco e latino, rispetto alla corsa ai ranking. Libera da pregiudizi di chi pensa che le università non statali non siano al servizio del pubblico. Un’università aperta alla città, che offre corsi, che aprirà un museo diffuso”.
Quali le prime sfide che dovrà affrontare la nuova rettrice?
“Abbiamo pochi posti letto, la mancanza di aule blocca nuovi corsi. Io ne avrei aperto uno sulla comunicazione del cibo e uno sul pensiero critico. Saranno anni difficili per il calo demografico, c’è il problema della competizione sleale delle telematiche. Le auguro di continuare con la capacità, il rigore, la passione e l’intelligenza con cui ha gestito l’ateneo nel lockdown: era prorettrice alla didattica, è sempre stata qui”.
Con lei Milano avrà cinque rettrici e tre rettori.
“Un bel cambiamento climatico. Giusto il riequilibrio e non è un risarcimento. È segno dei tempi, un riconoscimento a docenti che hanno dato tanto. Saniamo un passato discutibile”.