
Ghemon
Milano, 28 agosto 2018 - Come palestra s'è preso i testi degli Articolo 31. Li ha mandati a memoria, smontati, cambiati, rimontati. E alla fine è diventato Ghemon. Anche se in cuor suo il rapper avellinese è rimasto sempre Giovanni Luca Picariello, con i suoi dubbi e le sue insicurezze. Anzi con la depressione e gli attacchi di panico di una vita fatta di «meravigliose cadute e sofferte risalite» esorcizzati tra le pieghe dell’ultimo album «Mezzanotte» e del volume «Io sono. Diario anticonformista di tutte le volte che ho cambiato pelle» dato alle stampe in primavera. Giovedì prossimo Ghemon, 36 anni, chiude al Magnolia il tour partito lo scorso novembre. Frattanto «Un temporale» l’hanno rifatta perfino i Måneskin a X-Factor» e la strana coppia Diodato & Roy Paci gli ha chiesto di raggiungerla a Sanremo per condividere «Adesso» nella serata riservata alle collaborazioni.
Ghemon, com’è stato accolto in questo lungo tour?
«Ho notato che il tipo di reazione del pubblico non è tanto di natura geografica, quanto di attitudine o meno verso quello che offro sul palco. Quindi Milano può valere Palermo, anche se più la comunità è ampia e più c’è partecipazione. E poi il mio non è più un concerto rap propriamente inteso, anzi lo rimane solo in parte; se non hai macinato a casa tutti i dischi ti può lasciare spiazzato. Però nessuno va via e questo è un buon segno».
Dove sta andando la sua musica?
«Penso che in quest’ultimo album la matrice black sia abbastanza evidente e che negli spettacoli r&b, funk e soul finiscano col prevalere sul mio lato rap. D’altronde già il predecessore ‘Orchidee’ era un disco tutto suonato che usava la forma espressiva del rap solo a tratti».
Si nasce rap e poi ci si diventa grandi?
«No, perché il rap non è solo roba per ragazzini da abbandonare nell’età adulta. Basta guardare agli artisti più famosi, a cominciare da Jay-Z o Kanye West, che stanno ancora in quel solco. Pure in questo caso è una questione d’inclinazione, di attitudine».
E lei?
«Sono cresciuto nell’era dell’elettronica e dei sequencer, ma la curiosità m’ha spinto fin da bambino a cercare quali fossero i pezzi da cui attingevano quei campionamenti, scoprendo dei mondi straordinari. Così nella mia musica ho provato a mescolare le cose».
Il suo amico Clementino qualche sera fa ha cantato alla Notte della Taranta. C’è qualche avventura fuori dai binari tipo quella che le piacerebbe intraprendere?
«Ce ne sono diverse. Una, che ho già sperimentato in parte, è la recitazione. Il rap mi ha insegnato ad usare il microfono e ad avere una certa pratica nell’utilizzo delle parole, per questo vorrei confrontarmi con la ‘stand-up comedy’ americana, quel tipo di comicità che oltre oceano vanta degli interpreti straordinari».
Come sono andati i primi esperimenti?
«Ho fatto qualche tentativo in concerto, ma senza dire niente ai fans per vedere l’effetto prodotto; è andata abbastanza bene e la cosa mi ha fatto felice perché mi piace uscire dal mio seminato».
Qual è ora la meta? «Andare oltre ‘Mezzanotte’, disco personale nato, come indica già il titolo, nell’ora più buia della giornata, in un periodo particolarmente complicato in cui combattevo il male oscuro che mi portavo dentro. Da questo punto di vista, a suo modo, è stato terapico».
E adesso?
«Mi piacerebbe tornare parlare non solo di me, ma di quello che si muove attorno; qui in Italia e nel mondo. Magari puntando il dito sulle tante contraddizioni con cui ci troviamo a fare i conti ogni giorno. So che la denuncia a volte può diventare pesante, ma vorrei provare a far muovere la testa della gente senza annoiare».