Milano, 15 agosto 2018 - «Ci fu un intervento, ma parliamo di 25 anni fa, del mio maestro al Politecnico di Milano per rinforzare con una sorta di esoscheletro la prima stampella, quella verso Genova; scrissi anch’io un articolo sull’intervento». Per Pier Giorgio Malerba, docente di Bridge Theory and Design nella facoltà di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano, «il problema però non è tanto della manutenzione: oggi è accanimento terapeutico. E neanche del monitoraggio, per cui c’è una fiducia eccessiva delle strumentazioni. Andrebbe presa una decisione forte: demolire e rifare». Sotto la lente è proprio la tecnica di costruzione di quel ponte, replicato anche in Libia e in Colombia.
«All’epoca fu considerato un capolavoro dell’ingegneria e c’era una grandissima fiducia nelle qualità dei materiali – continua il professore del Politecnico –. Ma col tempo si è capito che l’effetto dell’anidride carbonica sul calcestruzzo e la corrosione dell’acciaio non vanno bene. Quello che si può dire dopo 50 anni di esperienza è che quella tecnica non funziona». E manca un censimento dei ponti. «Abbiamo forse un’anagrafe delle opere in Italia? – ribadisce il professor Malerba –. Con Eupolis Lombardia e Politecnico di Milano abbiamo fatto un report sullo stato dei ponti del Po e abbiamo chiesto con forza, più volte, che la stessa indagine venisse estesa ad altre infrastrutture. Non c’è stato seguito, purtroppo. Se ne parla sempre solo dopo una tragedia».
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