
Gli squilibri iniziano nei primi anni di vita, quando i bambini italiani iniziano a frequentare l’asilo nido mentre i coetanei figli di stranieri restano a casa. Effetto di rette proibitive, carenza di strutture pubbliche, fattori culturali e anche perché le madri non lavorano o perdono il posto dopo la maternità. Squilibri che poi aumentano anno dopo anno, anche a Milano e in Lombardia, regione che conta un 16% di stranieri sul totale della popolazione scolastica, pari a 220.771 persone. Solo il 17,7%, sul totale degli studenti non italiani, è iscritto alla scuola per l’infanzia, secondo i dati del dossier Idos. Il 22,7% frequenta le superiori: tra questi solo il 27,3% è iscritto al liceo, trampolino per l’università. Il 42,9% frequenta un istituto tecnico e il 29,8% una scuola professionale. Così “l’ascensore sociale“, già fermo da decenni per gli italiani, per i figli di stranieri rischia di non partire mai.
Anche nell’anno scolastico 20202021 la Lombardia si è confermata la regione con la più alta presenza di studenti non italiani (pari al 25,5% del totale nazionale), seguita a distanza dall’Emilia Romagna e dal Veneto. Rispetto all’anno scolastico 20182019 sono aumentati di 2.838 unità (+1,3%), a fronte di un calo di 28.256 unità (-2,4%) tra gli alunni italiani. Milano, con 79.039 studenti stranieri, si conferma la prima provincia in Italia, seguita da quelle di Roma e Torino, mentre quelle di Brescia (32.747) e Bergamo (25.709) si collocano rispettivamente al quarto e quinto posto nella graduatoria nazionale. Se si prende in considerazione l’incidenza degli alunni stranieri sul totale della popolazione scolastica, invece, Cremona (19,3%) e Mantova (19,1%) superano le altre province lombarde, attestandosi al quarto e quinto posto tra quelle italiane. Il 69,1% degli alunni stranieri iscritti in una scuola lombarda è nato in Italia (152.524). Tale percentuale sale all’84% nella scuola dell’infanzia e al 75,1% nella primaria. E la guerra in Ucraina non ha spostato di molto gli equilibri. "Il sistema ha retto perché il 90% delle persone arrivate sono state accolte non nelle strutture istituzionali ma attraverso la rete di famiglie – spiega l’assessore al Welfare del Comune di Milano Lamberto Bertolè – dobbiamo fare in modo che i processi di integrazione nella nostra città siano i più razionali e lineari possibili".