ANNAMARIA LAZZARI
Cronaca

Franz Fiorentino, il milanese sempre alla ricerca dell’onda perfetta

Creai una piccola comunità di appassionati mettendo annunci su Secondamano Ogni fine settimana andavamo al mare tra la Liguria e la Versilia a cercare il luogo...

Franz Fiorentino cavalca un’onda(Newpress)

Milano, 28 agosto 2017 - Per cavalcare l'onda giusta ha girato tutto il mondo: è stato a San Clemente in California, a Byron Bay in Australia, a Cuba, in Giamaica e alle Bahamas. Nonché in un numero impressionante di località balneari sconosciute ai più, sparse tra Italia, Spagna e Francia. «L’onda perfetta – assicura Francesco Aldo Fiorentino – è come l’ineffabile Graal. La devo ancora trovare». «Franz» è il presidente del Surfer’s Den, in piazza Caduti del Lavoro: l’unico club per surfisti della Lombardia. È stato citato per i suoi cocktail «futuristi» anche dal prestigioso New York Times. Franz è il presidente dal 1999 e per merito: è stato uno dei primi a usare la tavola da surf e a farla conoscere ai milanesi, quando ancora non si sapeva bene cosa fosse in tutto il Paese. Col tempo ha creato una sua linea di tavole, la “Surfer’s Den Daily Surfboards”. Quest’anno tre suoi esemplari, firmati in collaborazione con il designer Giulio Iacchetti,  sono stati selezionati per il prestigioso premio internazionale di design, il Compasso d’Oro. Ha scritto anche un libro, “Surfplay”, per i tipi di Volo Libero, nel 2014.

Quando ha cominciato a praticare surf e perché?

«All’inizio degli anni ’80. Eravamo solo in tre a Milano: io, Matteo Ferrari e Giovanni Torti. Fu il film “Un mercoledì da leoni” (pellicola cult diretta da John Milius nel 1978, ndr) proiettato al Cinema Mexico a farmi innamorare delle onde. Allora in Italia tutti confondevano il surf con il windsurf. Scoprii che Marco Fracas a Bogliasco lo praticava dagli anni ‘70 e ogni weekend mi recavo da lui in Liguria. È il maestro che mi ha trasmesso i primi insegnamenti; il resto l’ho imparato da me...».

Poi cosa avvenne nella scena milanese?

«Creai una piccola comunità mettendo annunci di appassionati su Secondamano. Ogni weekend andavamo al mare, tra la Liguria e la Versilia, a cercare lo spot giusto cioè il luogo adatto per surfare. Facevamo anche molti viaggi a vuoto: non si poteva controllare su internet se il mare fosse mosso. Per noi surfisti è stata importante la scoperta di Biarritz, in Francia, a fine anni ’80: lì c’erano scuole di surf e negozi specializzati da decenni. Fino agli anni ’90 è rimasto un affare per pochi che a Milano coinvolgeva un centinaio di appassionati e un migliaio in Italia. Ha iniziato a diffondersi in maniera massiccia solo nell’ultimo decennio. Adesso il capoluogo lombardo conta circa 2mila surfer, 10mila su scala nazionale».

Infastidito dalla diffusione di massa?

«No. Sono più turbato dal fatto che il surf sia diventato l’anno scorso uno sport olimpico. Ma non è agonismo, non c’è competizione con gli altri, lo si pratica soprattutto per se stessi. Al netto del grande sforzo fisico che richiede, il surf è soprattutto un’attitudine mentale, in grado di sgombrare la mente da ciò che è superfluo».

Per lei è come una disciplina mistica?

«Per me non ha alcuna valenza zen, sebbene esista un filone di praticanti che sono molto vicini alle filosofie orientali. A me il surf ha insegnato a disciplinarmi e a capire cosa davvero conta nella mia esistenza».