L'ex terrorista Bonisoli: io, le Br e le vittime. La violenza crea solo violenza

ll lungo percorso dell’ex brigatista che ha partecipato al sequestro Moro

Franco Bonisoli, 67 anni

Franco Bonisoli, 67 anni

Milano, 22 febbraio 2022 - "La mia è la storia di una persona sconfitta, sul piano politico e personale: la violenza ha creato solo altra violenza, il nostro errore più grande è stato quello di voler costruire un mondo migliore facendo la guerra. E abbiamo provocato solo dolore". Franco Bonisoli, 67 anni, ex terrorista, fu uno dei membri del comitato esecutivo delle Brigate rosse e ora racconta la sua "seconda vita" a un pubblico composto da 1.500 ragazzi delle scuole superiori lombarde. Al suo fianco nel Centro Asteria di Milano, gestito dalle Suore Dorotee, Manlio Milani, che ha perso la moglie nella strage di piazza della Loggia a Brescia, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, e Giorgio Bazzega, figlio del maresciallo dell’antiterrorismo Sergio Bazzega ucciso dal brigatista Walter Alasia il 15 dicembre del 1976. Bonisoli torna alle origini, al percorso che lo ha portato dall’impegno politico nell’Italia degli anni ’70 a varcare il confine, diventando un terrorista. "All’età di 15 anni ho iniziato a fare politica a scuola a Reggio Emilia – racconta Bonisoli – eventi internazionali come la guerra del Vietnam ci entravano dentro, volevamo creare una società più giusta e la nostra utopia contemplava anche l’utilizzo della lotta armata. Venivo da una famiglia normalissima, di lavoratori, comunisti. Mio padre, partigiano, fu deportato in Germania. A 19 anni aderii alle Brigate Rosse, per me fu un passo breve. Lasciai la mia famiglia, la ragazza e il lavoro e andai a Milano. Al momento di fare questa scelta avevo messo in conto di poter morire o finire in carcere, ma non mi importava. Iniziammo ad attaccare le cose e poi le persone – prosegue – senza provare un senso di colpa perché disumanizzavamo le nostre vittime e le rendevamo dei simboli di quello Stato che volevamo distruggere". Bonisoli fece parte del commando che sequestrò Aldo Moro in via Fani a Roma, uccidendo gli uomini della scorta. Fu arrestato all’età di 23 anni e, da allora, iniziò la vita in carcere.

"Volevo evadere e proseguire la rivoluzione – racconta – la violenza che respiravamo in carcere aumentava la nostra violenza. Avvertii il primo segnale di cambiamento a Torino quando, nel 1983, l’allora direttore delle Vallette, Giuseppe Suraci, ci propose di creare un comitato di detenuti per segnalargli i problemi. Per la prima volta qualcuno cercò di dialogare con noi. All’epoca non credevo più nella rivoluzione, personalmente fu una crisi durissima e arrivarono i sensi di colpa. Pensavo alla persone uccise e ai miei compagni morti, al dolore dei miei familiari. Avevo 28 anni e parlando in carcere a Nuoro con Franceschini (uno dei fondatori delle Br, ndr ) espressi il desiderio di farla finita e togliermi la vita. Lui mi propose di fare uno sciopero della fame - spiega Bonisoli – contro il regime carcerario durissimo. Ero deciso a lasciarmi morire". All’epoca il cappellano del carcere, don Salvatore Bussu, fece un gesto eclatante. Si rifiutò di celebrare la messa di Natale, perché "sei fratelli stavano morendo" in cella. "Quel gesto mi aprì il cuore e la mente – prosegue Bonisoli – accettammo di interrompere lo sciopero e iniziò un primo dialogo con le istituzioni. Le condizioni in carcere sono migliorate, mi sono dissociato dalla lotta armata e ho ricevuto il dono di una seconda vita. Ho due figli, un nipotino che ha appena compiuto tre anni, un lavoro". Un percorso proseguito fuori dal carcere, con la scelta di incontrare familiari delle vittime del terrorismo attraverso percorsi di giustizia riparativa e di testimoniare nelle scuole contro la violenza. "Per me è stato fondamentale il rapporto con Agnese Moro – racconta – ho avuto una grossa responsabilità per la morte di suo padre e lei mi ha accolto nella sua casa. Quando siamo rimasti soli, senza mediatori, mi disse: “Non voglio sapere niente del passato, ma voglio sapere chi sei ora...”. Da quel momento mi sono sentito libero, e sento di dover restituire qualcosa alla società".  

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