"Mio papà ucciso, incontrerei gli ex Br"

Giorgio Bazzega e il suo percorso: ho dialogato con chi si è assunto le responsabilità, così ho superato l’odio

Giorgio Bazzega col padre

Giorgio Bazzega col padre

Milano - La «prima e unica sculacciata" presa dal padre. Una giornata in Questura a Milano e poi allo zoo, davanti alla gabbia di un leone. Ricordi sfocati custoditi come tesori da Giorgio Bazzega, 47 anni. Aveva due anni e mezzo quando il padre, il maresciallo dell’anti-terrorismo Sergio Bazzega fu ucciso, assieme al vicequestore Vittorio Padovani, dal brigatista Walter Alasia, che sparò quando le forze dell’ordine entrarono nella casa dei genitori in via Leopardi a Sesto San Giovanni per arrestarlo, il 15 dicembre 1976. Nel conflitto a fuoco morì anche Alasia, 20 anni. Giorgio è uno dei figli delle tante vittime di una stagione di sangue che ha visto aprirsi un nuovo capitolo dopo il fermo degli ex terroristi in Francia, rimessi in libertà in attesa dell’estradizione. Uno di loro, Tornaghi, fu esponente della colonna Walter Alasia, intitolata al brigatista che uccise Bazzega e Padovani.

Giorgio Bazzega, come giudica questa svolta dopo anni? "I parenti delle vittime hanno bisogno di giustizia, ma non credo abbia senso mettere in galera dei 70enni a 40 anni di distanza dai fatti. Queste persone non hanno mai pagato il conto ed è giusto che si assumano le loro responsabilità, ma ci sono modi più adatti per placare la sete di giustizia".

Quali? "Nel mio caso, l’unico rimedio che mi ha permesso di tornare a vivere e superare il trauma è stato partecipare dal 2006 a un percorso di giustizia riparativa, incontrando ex terroristi che hanno avuto il coraggio di assumersi le responsabilità e guardare in faccia le vittime. Per anni sono stato consumato dall’odio e dal rancore, adesso sono libero e ho lasciato il mio lavoro nella pubblicità per dedicarmi all’attività di mediatore penale".

Che ricordi ha di suo padre? "Ero molto piccolo quando è stato ucciso, ma ricordo un momento in cui giocavo con i suoi piedi, testimoniato anche da una foto. Poi una gita allo zoo dopo che mi aveva portato con lui in Questura, perché doveva lavorare di domenica. Ricordo che mi teneva sulle spalle larghe, aveva i capelli lunghi. Era maestoso rispetto al leone in gabbia, magro e spelacchiato".

Una normalità mandata in frantumi il 15 dicembre 1976. "Nella mia mentre di bambino credevo che lo avessero ucciso i suoi colleghi in divisa e per questo, quando entravano in casa nostra, sparavo con le mani contro di loro. Sono cresciuto pieno di rabbia e desiderio di vendetta. Ricordo che a 14 anni stavo cenando con mia mamma e abbiamo sentito al tg che Renato Curcio era stato scarcerato. L’ho vissuta come un’ingiustizia incredibile, perché consideravo lui il vero responsabile della morte di papà. Per anni ho sognato di ammazzarlo, ho avuto problemi di dipendenza. La mia vita andava alla deriva e nel 2006, come ultima speranza, iniziai un percorso di giustizia riparativa. Quando ho incontrato per la prima volta ex terroristi ho detto loro: “Vorrei ammazzarvi tutti“. Poi, piano piano, è iniziato un dialogo con persone come Bonisoli, Ferrandi e Coi. Anche io sono stato meglio".

Sarebbe disposto a incontrare anche gli ex terroristi che fuggirono in Francia? "Sì, in questo momento non avrei problemi a incontrarli".  

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