NICOLA PALMA E MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Un fantoccio sotto le coperte per mascherare il suicidio. Chi era Francesca Brandoli, l’ergastolana che si è uccisa in carcere a Bollate

La tragedia nel penitenziario modello dell’hinterland milanese riaccende i riflettori sui suicidi dietro le sbarre. Il ricordo e il dolore di chi ha conosciuto la donna modenese di 52 anni

Francesca Brandoli si è tolta la vita nel carcere di Bollate

Francesca Brandoli si è tolta la vita nel carcere di Bollate

Milano – Un fantoccio sotto le coperte per simulare che fosse nel letto e non allarmare gli agenti della penitenziaria. E invece si era impiccata. Così si è tolta la vita la notte scorsa nel carcere di Bollate Francesca Brandoli, modenese di 52 anni, che stava scontando la condanna all’ergastolo confermata in via definitiva dalla Cassazione per aver ucciso l’ex marito Christian Cavalletti nel 2006. Nel 2011 la donna si era sposata in carcere con Luca Zambelli, condannato a 18 anni per l’omicidio della moglie, dal quale divorziò cinque anni dopo. E prima di quel matrimonio aveva già tentato il suicidio. «Siamo tutti sconvolti», dichiarano alcune persone che lavorano nel carcere.

Reazioni e analisi sulla situazione

«L’ho incontrata 15 giorni fa – fa sapere Francesco Maisto, garante milanese dei detenuti –. Mi è parsa contrariata perché aveva ricevuto una sanzione disciplinare che non le consentiva al momento di uscire dall’istituto per lavorare, come invece faceva prima, ma non in una situazione tale da far pensare a questo gesto di autolesionismo. Sapevo avesse delle patologie fisiche, e non altro, ma per l’atteggiamento notato quel giorno avevo suggerito alla direzione un colloquio con la psicologa, pur non potendo immaginare un suicidio». Nel corso del 2015, già detenuta a Milano (prima a Opera e poi a San Vittore), Brandoli aveva ottenuto il permesso di lavorare all’Expo. Poi il trasferimento al carcere di Bollate, dove aveva proseguito il suo percorso di recupero anche attraverso il lavoro.

Il percorso

Chi è stato a contatto con lei non nasconde il dispiacere: «Una sofferenza apprendere questa notizia. La signora Brandoli stava affrontando un percorso da anni – commenta Giuseppe Cantatore, fondatore della cooperativa sociale bee.4 –. Affiancata da noi, aveva lavorato in attività di call center all’interno del carcere. Poi, grazie all’articolo 21 della legge sull’ordinamento penitenziario (secondo cui i detenuti possono essere assegnati al lavoro all’esterno, ndr) poteva uscire dall’istituto, di giorno, per lavorare, e rientrare la sera. Aveva una lunga condanna da scontare e questo ovviamente non era banale, ma non tale da generare preoccupazione rispetto a una scelta così radicale». Altri che sono stati a contatto con lei la definiscono «una donna combattiva, ma anche fragile».

Stando a quanto appreso dal Giorno, prima della sanzione disciplinare andava a lavorare in un bar. Quello della Brandoli è il venticinquesimo suicidio in carcere dall’inizio dell’anno, «nell’indifferenza sostanziale del ministro della Giustizia Carlo Nordio – attacca Gennarino De Fazio, segretario generale della UilPa Polizia penitenziaria –, che non fa altro che parlare del “fardello di dolore“ causato da queste morti senza assumere compiuti provvedimenti per attenuarlo, e del governo Meloni». Per De Fazio «va immediatamente deflazionata la densità detentiva, vanno potenziati gli organici degli operatori, occorre assicurare l’assistenza sanitaria e vanno avviate riforme di sistema. La carneficina va fermata».