Fotoreporter pavese ucciso in Ucraina: il caso torna davanti ai giudici

Per la morte di Andrea Rocchelli l’appello fissato a settembre. In primo grado Vitaly Markiv condannato a 24 anni

Andrea Rocchelli aveva 30 anni

Andrea Rocchelli aveva 30 anni

Milano, 19 agosto 2020 - La data è fissata. Prenderà il via il 29 settembre il processo d’appello per l’uccisione del fotoreporter pavese Andrea “Andy” Rocchelli, appena 30enne quando perse la vita nel 2014 mentre faceva il suo lavoro. Morì nel maggio di sei anni fa a Sloviansk, in Ucraina, dove stava documentando la guerra civile in atto fra i sostenitori dell’indipendenza dello stato ex sovietico e i filorussi. Una storia quasi dimenticata per le cronache dei giornali. Mentre Rocchelli era fermo ad un passaggio a livello a scattare in una zona certamente pericolosa, da una collina di fronte partirono gli spari e poi i colpi di mortaio che ammazzarono lui e il giornalista russo Andrei Mironov (con cui spesso si spostava) ferendo gravemento il loro collega francese William Roguelon. 

Per la corte d’assise di Pavia, dove un anno fa si chiuse il primo processo, quello non sarebbe stato un evento casuale, una specie di incidente sul lavoro, ma piuttosto un’azione mirata a colpire un giornalista intraprendente. Un omicidio volontario cui avrebbe preso parte l’unico imputato finito in carcere con questa accusa. Si chiama Vitaly Markiv, oggi 30 anni, è un sergente della Guardia nazionale ucraina che si trovava quel giorno sulla collina da cui partirono i colpi che uccisero i due reporter. Ma è anche cittadino italiano, perché cresciuto insieme alla mamma nel nostro paese, fino alla scelta di tornare nella patria d’origine (lui con sospette simpatie di destra, se non filonaziste) per arruolarsi nelle milizie a fianco dell’esercito governativo.

E questo fa già intuire perché quello a Markiv, che in primo grado è stato condannato a 24 anni di reclusione ed è difeso da un celebre avvocato come Raffaele Della Valle, non potrà essere un processo come tanti. Difficile, quando l’ambasciatore ucraino Yevhen Perelygin ha contestato la sentenza ritenendo violati «i principi del diritto internazionale, in particolare l’immunità giurisdizionale dello stato che si basa sulla sovranità e l’uguaglianza degli stati». Un vero e proprio caso diplomatico.

Nel merito, la difesa con Della Valle contesta «ogni proposizione dell’accusa. Non sappiamo con quale arma è stato ucciso Rocchelli, né chi ha sparato». Sull’altro fronte, insieme ai familiari del reporter ucciso, è schierato anche il sindacato nazionale dei giornalisti che si è costituito parte civile. «Abbiamo fottuto un reporter», diceva Markin in un’intercettazione. E per i giudici di primo grado, quelle parole avevano un senso preciso.

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