MILANO – “Una tragedia che per noi fu davvero la fine del mondo. Eppure in qualche modo fu anche l’inizio di una nuova vita. Più difficile, faticosa. Ma piena e più entusiasmante”. Da oggi ritorna “In farmacia per i bambini“, la raccolta di medicinali e prodotti pediatrici organizzata dalla Fondazione Francesca Rava per aiutare le famiglie in stato di indigenza, e la presidente della storica organizzazione non profit, Mariavittoria Rava, ritorna con la mente a quel terribile novembre del 1999, quando sua sorella Francesca rimase uccisa a soli 26 anni in un incidente d’auto. Uno tsunami che travolse la sua famiglia e lei, ma che fu anche l’inizio di tutto. “Sembra strano ma anche in quel caso c’entrava una farmacia”.
In che senso?
“Mia sorella lavorava per Kpmg e, nonostante i tanti impegni professionali, in primavera accompagnava sempre i bambini con disabilità a Lourdes. Nella primavera del 2000, quando ancora ero alle prese con il mio lutto, mi chiamò l’amica con cui organizzava quei viaggi e mi chiese di andare io al posto di Francesca. Quella sua amica era una farmacista”.
Quando si dice il destino...
“E quella fu solo la prima di una serie di coincidenze. Dopo tanti dubbi, soprattutto legati alla mia capacità di affrontare una cosa del genere, accettai di sostituire mia sorella nel viaggio: mi ritrovai così a Lourdes, persa nel mio dolore e senza più fede, immersa nella sofferenza di tante persone. Volevo fare qualcosa, ma mi sentivo impotente. Trovai un prete messicano che riuscì a riaccendere in me una fiammella di speranza e che, ecco la coincidenza, stava per trasferirsi proprio a Milano. Lo incontrai qui e fu lui a dirmi che se volevo aiutare gli altri potevo mettere a disposizione le mie competenze di avvocato e fornire consulenze legali a chi ne aveva bisogno”.
Come andò?
“Iniziai a fare consulenze per associazioni, parrocchie, moltissime persone. Lavoravo di giorno e mi occupavo di queste consulenze la notte. Una faticaccia. Ma mi permise, ancora una coincidenza, di fare l’incontro che cambiò la mia vita: l’organizzazione Nph (Nuestros Pequeños Hermanos) voleva aprire una sede a Milano. Mi occupai io della questione. La Fondazione Francesca Rava nacque proprio così. Incontrai anche il fondatore di Nph, William Wasson, che mi aprì gli occhi su tante cose”.
Wasson aveva una storia simile alla sua: un avvocato che dedicò la vita ad aiutare i bambini e ragazzi in situazione di marginalità. Come fu quell’incontro?
“Bellissimo. Da buon americano volle subito sapere delle questioni pratiche, budget e fattibilità dell’operazione. Poi volle indagare le mie motivazioni. Concretezza e volontà, insomma, due capisaldi della nostra associazione ancora adesso. Perché – come diceva Wasson – è vero che senza soldi non si fa niente, ma allo stesso modo anche senza cuore non si fa niente. E infatti poi non volle più saperne di contratti e documenti legali, tutto si basava sulla fiducia”.
Una bella rivoluzione per un avvocato come lei, che studiava per di più da notaio...
“Già. Del resto, qualunque contratto è a rischio se c’è la malafede. Wasson, e tutta la mia esperienza con la fondazione, mi hanno insegnato che la fiducia è la base di tutto. Con la fiducia si fa rete, si coinvolgono le persone, si evita di costruire cattedrali nel deserto”.
La fondazione l’anno prossimo compie 25 anni, un grande traguardo. Si è mai chiesta cosa avrebbe detto sua sorella di tutto quello che è stato fatto in suo nome?
“Sì, sempre. Io la cerco sempre. Tante volte mi è sembrato che mi mandasse un segno. Tante volte di fronte alle difficoltà, ai muri invalicabili che mi sono trovata di fronte, mi è capitato di pensare a lei, al suo sorriso, ai suoi scherzi, e trovare la forza per andare avanti”.
Di muri in tutti questi anni quanti ne ha trovati?
“Moltissimi. Vedere la situazione di Haiti, quello che i bambini hanno sofferto, e continuano a soffrire, a volte può toglierti la speranza. Ma basta guardare con quanta dignità e determinazione lottano le mamme di quei bambini, nonostante tutto sia contro di loro, per rimettermi subito al lavoro”.
La lunga storia della Fondazione è segnata anche dall’impegno di tanti testimonial d’eccezione. Chi è stato il primo?
“La prima è stata Martina Colombari, che partecipò a una nostra cena invitata da un conoscente. Sentì quello che facevamo e volle impegnarsi in prima persona. Anche Paola Turci fu tra le prime. Arrivai a lei tramite la sorella, i cui figli frequentavano la stessa scuola dei miei. Anche la loro vita fu segnata da un terribile incidente d’auto. Questo in qualche modo ci ha fatto entrare in sintonia. Con Raoul Bova invece, ancora una volta, mi trovai a fare i conti con strane coincidenze”.
Perché?
“Un personaggio di Mediaset doveva accompagnarci come testimonial ad Haiti in una delle nostre missioni. All’ultimo ci avvisarono che non poteva e che avrebbero pensato a un sostituto. Chiesi in fondazione, dove all’epoca eravamo tutte donne, chi avrebbero voluto come testimonial e tutte, un po’ scherzando, dissero Raoul Bova. Mi chiamarono il giorno dopo da Mediaset per dirmi che il sostituto che aveva dato la disponibilità era proprio lui. Si vede che anche quello era destino... I tanti testimonial che ci hanno dato visibilità e ci hanno supportato in questi anni sono stati una risorsa preziosa, anche se la nostra vera forza, la vera ricchezza, sono le persone che ogni giorno lavorano e si impegnano per la fondazione. I tanti che hanno deciso di dedicare il loro tempo ad aiutare i più deboli. Con cuore e concretezza”.