
Flavio Giurato
Milano, 12 febbraio 2017 - Chiuderà a Milano il tour de «La scomparsa di Majorana» dando un assaggio della sua prossima avventura musicale, «Le promesse del mondo». Flavio Giurato, il cantautore che aveva incantato il pubblico con «Il tuffatore», è tornato dopo 12 anni da «Il manuale del cantautore» col suo ultimo disco e sabato 18 febbraio sarà protagonista della rassegna Campo Live, in via Cambiasi.
Perché Milano?
«Aspetto molto questo concerto, non solo perché sarà la mia ultima apparizione sino alla fine dell’estate, ma perché Milano per me è una città magica. La città della musica, la città della Scala. Mio nonno vi ha lavorato tanti anni, accanto a Puccini e Toscanini; da ragazzo andavo ai primi concerti e anch’io ho lavorato molto qui, l’ho sempre vissuta da pendolare, ma ne sono innamorato».
I suoi luoghi del cuore?
«L’hotel Solferino, la Scala, i cortili nascosti, gli studi grandi. Milano non è sfacciata, è più europea e internazionale. È più esotica, vista da Roma».
Sabato porterà con sé anche «Le promesse del mondo»?
«Ho finito di registrare da poco, avrei voluto fare uscire a marzo questo concept album sul tema scottante delle migrazioni, ma dovrò aspettare settembre. Sul palco però non so mai quello che faccio, sono solo, non devo rendere conto a nessuno, possono esserci delle richieste dal pubblico e sicuramente due o tre pezzi ci saranno, “Sound Check”, “Digos”. Chissà, magari anche “Agua Mineral”, che mi porto dietro da una vita».
A Milano farà conoscere dal vivo il suo «Majorana». Quanto si sente legato al fisico scomparso?
«Io sono scomparso dalla scena per molti anni. Lady Diana Spencer avrebbe voluto vedersi dissolvere come la pastiglia dell’Alka Seltzer nell’acqua del bicchiere. Tirarsi indietro, sparire, a chi non è mai venuto in mente nella vita? Majorana è un personaggio che mi ha sempre affascinato, che sicuramente sta con me, l’importante è che non prenda il sopravvento, inducendomi a filar via. Mi è sembrato giusto raccontare la sua storia. Tutta la lavorazione dell’album è stata eseguita in accordo con le fasi lunari. Siamo fatti del 70% di acqua, su qualcosa influirà».
Qual è la canzone, in tutta la sua carriera, a cui si sente più legato?
«Agua Mineral. L’ho portata con me per 60 anni, è un pezzo della mia vita. Mio padre era diplomatico e a Baires avevo visto questa bottiglia. Quando ero a Londra con “Il tuffatore” ho dato una cassetta a un fonico con una prima versione. C’è una tracciabilità nel tempo e ho deciso di inserirla nell’ultimo lavoro».
Negli anni di “silenzio“ in realtà ha fatto il regista.
«Mio zio, mio fratello hanno sempre fatto film, Blasco è stato il direttore della fotografia anche di “Nuovo Cinema Paradiso”. Io li ho fatti per la tivù per 10 anni. Finite le “Promesse” comincerò seriamente a girare il mio primo film, sarà uno spaghetti western per il 2018, ambientato fra Basilicata, Sicilia, Sardegna. Abbiamo tanto west e finalmente ci saranno pure gli indiani».
La rassegna di Campo Teatrale è dedicata alla musica indipendente italiana. Cosa significa per lei essere indipendente oggi?
«Significa che il digitale ha portato indipendenza nella musica. C’è una nuova capacità di registrare anche senza casa discografica, senza studio, basta una presa della corrente. C’è stata una democratizzazione. È vero, c’è tanta offerta, prima forse era più ordinata, però si perdevano tante perle che adesso invece riescono ad arrivare ovunque. È questo il bello».