La buona notizia è che il numero degli uomini che usufruisce del congedo di paternità è più che triplicato nell’arco di una decina d’anni. Quella cattiva è che resta un forte squilibrio di genere tra i genitori nella cura dei figli, che si traduce in carriere interrotte per le mamme e difficoltà nel reinserirsi nel mondo del lavoro. Anche se un cambiamento, pur a piccoli passi, è in atto. La Lombardia, secondo quanto emerge dall’ultimo rapporto di Save the Children diffuso ieri, è sopra la media nazionale per la percentuale di neopapà che usufruiscono della misura che attualmente garantisce 10 giorni obbligatori e uno facoltativo ed è fruibile tra i due mesi precedenti e i 5 successivi al parto.
Tutte le province lombarde sono sopra la media nazionale del 64,02%. I territori più evoluti - anche nella classifica nazionale guidata da Pordenone, Vicenza e Treviso - risultano la Bergamasca e il Lecchese, dove l’81% dei lavoratori usufruisce del congedo di paternità. Seguono Monza e Brianza (79%), Cremona (78%), Como (77%), Varese (76%) Lodi (76%), Brescia e Mantova (74%). La Città metropolitana di Milano, pur sopra la media nazionale, si colloca con Pavia in fondo alla classifica lombarda, con un tasso del 73%. All’ultimo posto Sondrio, con il 72%.
"Il coinvolgimento dei padri nella cura dei figli sta cambiando, anche se lentamente, a favore di una maggiore condivisione delle responsabilità", afferma Giorgia D’Errico, direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children. "È necessario sostenere questo cambiamento, andare nella direzione di un congedo di paternità per tutti i lavoratori, non solo i dipendenti – prosegue – garantendo che i datori di lavoro adempiano all’obbligo di riconoscere tale diritto, e fino ad arrivare all’equiparazione con il congedo obbligatorio di maternità".
Se per un uomo prendere il congedo obbligatorio è ormai la normalità, un discorso diverso va fatto per i congedi facoltativi o per i periodi di astensione volontaria dal lavoro a parità di stipendio concessi da alcune aziende dopo la nascita di un figlio. Gli uomini che ne usufruiscono, infatti, spesso finiscono nelle stesse dinamiche di freno alla carriera ed esclusione dai progetti sperimentate dalle donne al rientro dalla maternità. E la parità, in questo caso, è anche sugli effetti negativi. C’è poi una disparità legata alle forme contrattuali. Tra i lavoratori con un contratto a tempo indeterminato la percentuale degli uomini che usufruiscono del congedo di paternità sfiora il 70%, tra quelli con contratto a tempo determinato scende al 35,95% mentre tra gli stagionali arriva solo al 19,72%.
Per quanto riguarda le fasce di reddito, l’utilizzo del congedo di paternità è più diffuso tra i padri con un reddito compreso fra i 15mila e i 28mila euro (73,3%) e fra quelli con reddito superiore a 28mila euro e inferiore a 50mila (85,68%). Dati che consentono di tracciare un identikit del padre in congedo: ha più di 30 anni, vive al Nord, lavora in imprese di media-grande dimensione con un contratto di lavoro stabile e ha un reddito medio-alto. Fra il 2013 e il 2022 la percentuale si è più che triplicata: nel 2013, infatti, poco meno di 1 padre su 5 ne ha usufruito (pari al 19,25%) mentre nel 2022, sono stati più di 3 su 5 (pari al 64,02%) con poche differenze a seconda che si tratti di genitori del primo (65,88%), secondo o successivo figlio (62,08%).